E’ in crescita in Italia la produzione indipendente di intrattenimento, ma rappresenta solo il 3,9% del valore dell’intrattenimento tv con ricavi complessivi di 300 milioni di euro su un totale stimato di 7,9 miliardi di euro (campione di 28 reti FTA, n.d.r.). Un valore inferiore, in valori assoluti e percentuali, rispetto, ad esempio, al Regno Unito che presenta una produzione con valore cinque volte tanto, con 1,5 miliardi con un’incidenza dell’8,8% sui ricavi totali (16,9 miliardi di euro). Se, in qualche anno, si arrivasse alla stessa percentuale britannica sul mercato complessivo, il nostro mercato nazionale potrebbe raddoppiare ricavi e occupati.
Cifre e confronti contenuti nello Studio “Il valore della produzione. L’intrattenimento come risorsa economica e culturale”, commissionato all’Università Cattolica da APT (l’Associazione dei Produttori Televisivi guidata da Marco Follini) e presentato nei giorni scorsi a Milano. La produzione indipendente di intrattenimento in Italia ha registrato in questi anni una crescita, ma i numeri sono lontani da un livello accettabile soprattutto a fronte della moltiplicazione di offerte on demand e dell’ingresso di nuovi player, in primis i canali tematici e semigeneralisti, che molto investono sui format.
Tuttavia, il peso della produzione indipendente sul totale del comparto televisivo in termini di ricavi è ancora molto limitato, soprattutto se comparato da altri mercati più avanzati, primo fra tutti il Regno Unito. Al di là dell’ampiezza complessiva, quello britannico è infatti un mercato che continua a mostrare segni di grande dinamicità, frutto di politiche e “buone pratiche”. Il Regno Unito, è leader globale nell’esportazione di format di intrattenimento, con 122 adattamenti complessivi in tutto il mondo solo nel 2015. Questo dato è il risultato anche di un progressivo consolidamento del mercato interno della produzione indipendente, da un lato e il rafforzamento della centralità della BBC (e del complesso delle reti in chiaro) nello stimolare la creatività interna dall’altro. Tra il 2001 e il 2014, il numero complessivo delle case di produzione è sceso da 500 a 259, stabilizzando un sistema che si compone di pochi grandi produttori indipendenti (Super Indies) e una presenza diffusa di PMI, la cui “diversità” è valorizzata dalle politiche pubbliche.
Nel corso dell’ultimo decennio, il ruolo del servizio pubblico è stato fondamentale per la produzione indipendente con un ruolo di garanzia e stabilizzazione del sistema: per la BBC il ricorso alla produzione esterna tra il 2004 e il 2014 è passato dal 49% al 59%. Nel 2014, 250 società hanno avuto almeno un programma in onda sul servizio pubblico. Tornando all’Italia, nel 2015 nel nostro Paese sono stati realizzati 290 programmi di intrattenimento, per un totale di 13.850 ore di programmazione, con una particolare concentrazione sulla fascia pregiata del prime time.
La produzione indipendente però pesa ancora troppo poco, soprattutto se valutata in termini di ore di prodotto originale: solo 4.344 ore di intrattenimento (il 31% del totale) sono realizzate da produttori indipendenti contro un 69% di produzione interna ai broadcaster. I contenuti realizzati da società esterne spiccano per varietà e ricchezza di titoli, ma sono meno estesi sul palinsesto. La produzione si concentra soprattutto su tre fasce principali: il preserale, l’access e il prime time occupate principalmente da game show, reality e talent. Insieme al factual, sono questi i generi che, quasi interamente creati e sviluppati da società esterne, a volte in coproduzione con i broadcaster (questo vale per la totalità dei reality e dei talent e per il 96% delle ore di messa in onda dei game), rappresentano l’expertise più importante delle case di produzione indipendenti. Per quanto riguarda i generi dell’intrattenimento, emergono il factual e l’infotainment che complessivamente rappresentano il 54% dell’offerta complessiva.
I due generi sono anche l’esempio di due strategie tra loro opposte: per il factual, la realizzazione si appoggia più frequentemente sulla produzione indipendente, si registra un’ampia varietà e numero dei titoli in circolazione; mentre l’infotainment punta decisamente su prodotti più consolidati (con numerose stagioni alle spalle) e, in definitiva, di maggiore durata in termini di ore di programmazione complessive. Ma il lato più carente della produzione di intrattenimento italiana è la dipendenza da format esteri, e la bassa presenza di format originali italiani. Considerando che circa un quarto dei programmi di intrattenimento e un quinto delle ore di programmazione di intrattenimento, è costituito da format, in gran parte di provenienza internazionale, solo il 5% dei titoli e delle ore in onda nel 2015, infatti, è costituito da format originali italiani. Anche la Francia ha raddoppiato l’export di format (dai 13 milioni di euro nel 2008 a 25,4 nel 2015) attraverso la Fabrique de Formats Politiche che promuovano il settore – alla presentazione il Sottosegretario alla Comunicazioni Antonello Giacomelli ha dimostrato disponibilità ad allargare il tax credit al settore per favorire l’export; ruolo propulsivo della Rai – Ilaria Dalla Tana, direttore Rai 2, ha parlato della creazione di slot per format innovativi; collaborazione con i produttori – Gina Nieri, Direttore Divisione Affari Istituzionali Mediaset, ha parlato di un patto di partecipazione agli investimenti broadcaster-produttori; una politica UE più coraggiosa nella protezione e promozione delle produzioni UE (sono le strade da percorrere per rilanciare il settore in Italia e nel mondo.