Numero 1 “Apocalittici e Integrati 50 anni dopo – Dove va la televisione”
Si è tenuta mercoledì 22 aprile presso la Sala Aldo Moro della Camera dei Deputati la presentazione della Collana “I Quaderni di CRTV”. Partendo dall’anniversario della pubblicazione di un classico degli studi sui mass-media di Umberto Eco il primo numero “Apocalittici e Integrati 50 anni dopo – Dove va la televisione” si è concentrato sul tema del rapporto tra TV e società, raccogliendo le riflessioni di autorevoli protagonisti, esperti, osservatori diversi per formazione ed esperienza: Rodolfo De Laurentiis, Emilio Carelli, Gianpiero Gamaleri, Luca De Biase, Aldo Grasso, Maurizio Giunco, Gian Piero Jacobelli, Mario Morcellini, Ruben Razzante, Lorenzo Sassoli de Bianchi, Stefano Selli, Dario Edoardo Viganò. I prossimi numeri saranno dedicati ad altri specifici temi tecnici di interesse industriale del settore radio-televisivo. La Presidente della Camera Onorevole Laura Boldrini, impegnata in Aula con le comunicazioni del Presidente del Consiglio dei Ministri per il Vertice Straordinario UE, ha inviato un saluto istituzionale. Il dibattito si è articolato in due “panel” rappresentati da operatori della filiera e moderato dal Direttore della Collana Emilio Carelli (Vice Presidente di CRTV).
L’intervento del Presidente di CRTV Rodolfo De Laurentiis
Ha aperto il dibattito il Presidente di CRTV Rodolfo De Laurentiis, che ha curato le conclusioni del primo numero della Collana con il saggio “Verso una televisione apocalittica e integrata”. Il Presidente ha anzitutto evidenziato come l’industria televisiva nel nostro Paese (attraversata da profondi cambiamenti nell’assetto tecnologico, di mercato, regolamentare e culturale) da tempo sentisse il bisogno di un “casa comune” dove elaborare approcci condivisi sui temi strategici del settore utilizzando al proprio interno quel patrimonio di competenze ed esperienze sviluppate negli anni che poteva essere strumento di successo per il raggiungimento di obiettivi e l’affermazione di principi fondamentali per l’intero settore.
Fin dall’avvio dell’esperienza di CRTV è stata quindi immaginata una collana di studi, una rivista che potesse accompagnare la quotidianità del lavoro delle aziende e dell’associazione con riflessioni puntuali, precise, tematiche che cogliessero gli aspetti fondamentali dei grandi temi che il settore ha di fronte. Il 50° dalla pubblicazione di “Apocalittici e Integrati” di Umberto Eco ha fornito lo stimolo per avviare il progetto della Collana che nel suo primo numero inquadra in termini complessivi il rapporto tra società e industria televisiva negli ultimi 50 anni, cogliendo appunto quegli aspetti e peculiarità dell’opera di Eco che ancora oggi mantengono una loro attualità. Una Collana ambiziosa, di approfondimento, pragmatica, leggera (anche nel formato) che consenta una lettura agile, e al contempo accurata, attenta ai temi e dei fenomeni rilevanti nella consapevolezza che la televisione ha la necessità di sostenere le istanze del settore allargando il proprio bacino di riferimento e di riflessione . Per questo “I Quaderni di CRTV” non si propongono come un’opera da scaffale bensì come elemento dinamico per allargare e rafforzare il dialogo serio e continuo con il mondo in cui l’industria radiotelevisiva vive, agisce e interagisce, a cominciare dagli interlocutori Istituzionali. Nel 1964, anno della prima pubblicazione del libro di Eco, ha ricordato De Laurentiis la TV era molto diversa da oggi: c’era due reti e l’Italia viveva un inaspettato boom economico. Alla naturale vocazione pedagogica della televisione si incominciava ad affiancare il gusto per l’intrattenimento, suscitando da un lato grande interesse nel pubblico, dall’altro una diffidenza delle forze politiche di allora che vedevano nella potenza di impatto della TV sui consumi, sulle modalità di costruzione dei modelli culturali e nella relativa capacità di creare tendenze un elemento che si faceva fatica a contenere.
Ma era altrettanto forte la consapevolezza dell’importanza della televisione quale strumento di modernizzazione, sviluppo e di crescita – non solo culturale – del Paese: un elemento che emerge di continuo nel libro e che ha determinato il dibattito fino all’ultima edizione del 1977. Tant’è vero che si parla per quel periodo di un “caso italiano” che si caratterizza per l’inversione delle fasi di sviluppo economico in quanto prima aumenta la diffusione del mezzo televisivo e successivamente i livelli di scolarizzazione. Un dato interessante che consacra la capacità di penetrazione dello strumento nel tessuto economico-sociale del Paese. Altro elemento forte del pensiero di Eco è la considerazione della televisione come strumento che consente la riflessione critica (e non come un invito all’ipnosi). Uno strumento che riesce a promuovere la consapevolezza dei diritti e dei doveri, delle funzioni e del ruolo del cittadino capace di andare oltre una partecipazione acritica al tessuto sociale e di rendersi protagonista degli eventi del tempo. Oggi la televisione è molto diversa ha aggiunto il Presidente: è una Smart TV intelligente e connessa ad internet (entro il 2020 si stima saranno il triplo di oggi), siamo nella convergenza che ha fatto superare la semplice espressione “guardare la televisione”; una TV che ha subito un cambiamento genetico che rende lo spettatore protagonista nella sua programmazione della fruizione dei contenuti AV attribuendogli un’ampia gamma di opportunità e di differenti visioni. La digitalizzazione è stata una stagione complessa: oltre 24.000 gli impianti adeguati in Italia al digitale, ha coinvolto tutta l’Europa (a parte la Romania) e sono state investite risorse economiche aziendali importanti. Il risultato è stato un’enorme varietà di offerta: da una situazione con 10 canali siamo passati ad una TV multipiattaforma, multicanale dove sono 193 i canali monitorati quotidianamente da Auditel, con 40 gruppi editoriali attivi nel Paese, 500 editori televisivi del territorio con oltre 3000 marchi di canale. Un enorme cambiamento che ha assicurato pluralismo e nuovi linguaggi. La TV resta centrale nei consumi degli italiani. 4 ore e 21 minuti è il consumo giornaliero in aumento. E’ il primo mezzo nella scelta degli investitori pubblicitari. 2 miliardi investiti nella produzione indipendente. Un film su tre è finanziato dalla televisione. Una centralità che vale anche nel rapporto con Internet: oltre il 60% dei contenuti sulla rete è di origine televisiva (free, pay e purtroppo anche piratati). Tutti numeri che confermano la televisione come un’industria centrale e forte, ma con una serie di questioni aperte di fronte: uno per tutti il tema di un mercato non connotato da condizioni eque per tutti quanto a partecipazione, accessibilità, competizione. Pensiamo al rapporto con gli Over-The-Top con cui la TV compete con regole vincolistiche stratificatesi nel tempo valide solo per gli operatori tradizionali (pluralismo, quote di produzione, pubblicità, fisco). In particolare sul diritto d’autore De Laurentiis si è poi riferito al recente richiamo del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nei confronti del legislatore italiano e comunitario affinchè avvii un percorso alla difesa di un patrimonio che rischia di essere depauperato dall’uso di strumenti illegali. Uno stimolo all’adeguamento della normativa e del quadro regolamentare che non può non essere raccolto per garantire la difesa reale, concreta di un patrimonio inestimabile del Paese. A fronte di un mondo in profondo cambiamento i Gruppi editoriali stanno cercando quindi di cogliere le opportunità emergenti dal mercato, cercando di sviluppare il proprio “brand”. CRTV chiede quindi che dopo l’industria anche il quadro normativo passi da “analogico” a “digitale” sia volto cioè al superamento delle asimmetrie informative che impediscono un mercato libero e concorrenziale, limitando le potenzialità degli operatori tradizionali.
Il Presidente ha poi concluso commentando la “profezia “ di Reed Hasting (AD di Netflix) che sostiene che nel 2030 la televisione generalista lineare e sarà morta (un apocalittico, per usare i termini di Eco) dichiarandosi convinto che l’industria radiotelevisiva sarà ancora centrale ancora più forte e riuscirà a interpretare i nuovi bisogni del mercato e dei cittadini. Schierandosi quindi per una visione ottimistica perché testimone di una grande passione, competenza, risorse, esperienze che possono essere elementi di successo sul mercato. Quindi una TV “integrata” in quanto proattiva anche nel nuovo ecosistema di Internet e al contempo “apocalittica” rispetto all’evoluzione di un mercato senza regole eque per tutti gli attori in gioco. Una TV che ha la capacità di proiettarsi nel futuro e continuare a giocare un ruolo da protagonista. Ma ciò dipenderà anche dalla capacità della politica di comprendere la necessità indilazionabile di un complessivo adeguamento normativo in modo da ristabilire un equo livello concorrenza. Una “vision” che verrà sviluppata nei prossimi numeri de “I Quaderni di CRTV” per i quali potrà essere prevista una presentazione nelle Università italiane.
Il coordinatore del progetto Gianpiero Gamaleri (sociologo della comunicazione e preside della Facoltà di Scienze della comunicazione all’Università Telematica Internazionale Uninettuno di Roma) ha poi illustrato il senso complessivo dell’iniziativa partendo dal rovesciamento del metodo usato da Jader Jacobelli negli incontri di St.Vincent dove una ventina di esperti e studiosi dibattevano temi strategici per l’economia e la società con interventi strettamente contingentati che generavano un “instant book”. CRTV ha voluto rovesciare questo paradigma partendo da un elemento materiale come è un libro, ancora più importante nell’epoca della digitalizzazione della dematerializzazione, uno strumento che si consolida in una pagina scritta che aiuta la riflessione meno estemporanea. Un libro che non è fine se stesso in quanto attivatore di un dibattito fisico che potrà estendersi sul territorio e nei diversi ambienti coinvolti dalla trasformazione digitale. Oltre al WEB, come area di circolazione e disseminazione delle proposte che emergeranno.
La riflessione degli autori del primo numero della Collana sul futuro della TV è stata sollecitata attraverso 5 interrogativi ispirati a quelli formulati da Eco tra il 1964 e il 1977 e che mantengono una loro attualità: 1. La TV è pericolosa come l’energia nucleare? 2. I “talk show” sono un arricchimento della politica o la fucina dell’antipolitica? 3. La domanda crea l’offerta o l’offerta stimola la domanda? O valgono tutte e due le affermazioni? 4. Esiste ancora l’uomo massa o ci sono forme più sottili e personalizzate di arricchimento e assoggettamento? 5. Sono i cittadini gli utilizzatori dei media o i professionisti dei media gli autori del cambiamento? Come si dosano questi elementi? La lettura delle conclusioni condensate nei contributi degli autori dà elementi di approfondimento rispetto alla cornice generale del rapporto tra impresa e cultura, imprescindibile per una crescita sostenibile del sistema.
E’ seguito l’intervento di Pietro Guerrieri (DG SES Astra Italia) che, parafrasando lo slogan di allora, si è dichiarato a favore degli “Integrati per non morire apocalittici.” Apocalittici nel senso di un eccessiva prudenza, a volte quasi immobilità nel cercare di percorrere i sentieri più battuti e che maggiormente conosciamo. Si è poi concentrato su due temi l’ottimizzazione delle risorse e la capacità di fare sistema. Circa il primo tema Guerrieri ha voluto testimoniare un vero e proprio sconvolgimento di quelli che sono i pilastri del servizio e dell’offerta televisiva. La filiera della produzione dei contenuti è stata notevolmente accorciata, la definizione dei palinsesti completamente rivoluzionata, il modo di fruizione molto destrutturato, la qualità dell’esperienza sensibilmente migliorata. Ad un aumentato fabbisogno dei volumi dei contenuti video, legati all’aumentata qualità delle immagini, ha ricordato che si reagisce cercando di ottimizzare le modalità di trasporto dei contenuti senza tener gran conto dei mezzi alternativi di trasmissione.
In alcuni casi, poi, come quello dei servizi OTT, la diffusione del servizio si appoggia ad infrastrutture, già in debito di efficienza. Secondo Guerrieri il digitale terrestre, come ha dimostrato il grande sforzo dello switch-over del 2012, è una risorsa estremamente preziosa, ma – pur essendo la tecnologia di base per la televisione – non è la sola piattaforma distributiva su cui contare. I prossimi15 anni saranno un periodo importante per cominciare a mettere le basi di un’ulteriore ottimizzazione di questa preziosa risorsa. Una risorsa che diventerà scarsa già con la diffusione su larga scala dell’alta definizione, quando l’HD diventerà lo standard anche in Italia. Gli sforzi e gli investimenti sopportati dagli operatori nel 2012 sono ancora troppo recenti per poter soltanto immaginare un secondo “switch-off” nei prossimi anni. E ragionamento analogo – ricorda il DG di SES Astra Italia – bisogna riservare anche al perseguimento e alla protezione di un accesso universale al web. E questo perché sappiamo bene quanto sia stretto il legame tra accesso alla conoscenza e all’informazione e lotta alla discriminazione a livello economico e sociale.
La diffusione della TV del futuro, che è quella dell’ULTRA HD, viene pensata e realizzata, in maniera significativa, anche attraverso l’uso del web. Il network digitale è oggi infatti utilizzato al 70%, per la diffusione di contenuti video e in due anni questa cifra potrebbe superare l’80%. C’è quindi bisogno di un approccio integrato e di una visione a lungo termine, efficiente e sostenibile. Dobbiamo cioè imparare (ed eccoci al secondo tema illustrato da Guerrieri) a fare sistema. Dopo essersi dovuta adattare all’evoluzione imposta dalla digitalizzazione, la televisione tradizionale ha dovuto far fronte ad una delle sfide più grandi che arriva dagli operatori Over The Top ed in particolare dai cosiddetti Multi Service Video Providers, operatori mondiali con capacità economico-finanziarie estremamente importanti ed un portafoglio clienti già fortemente consolidato.
L’integrazione tra i diversi player del settoredell’audiovisivo, tenendo in grande considerazione il ruolo di aggregatore e di volano tecnologico ed economico che può essere svolto dal “broadcaster” pubblico, è una strada. Ma integrazione anche a livello delle sinergie realizzabili tra le diverse tecnologie e piattaforme a disposizione. Un vero modello ibrido terrestre-satellitare – secondo Guerrieri – potrebbe risparmiare fino a un terzo degli investimenti necessari e distribuire il doppio dei contenuti per ogni euro investito. Una soluzione ibrida può essere immediatamente operativa in una reale convergenza delle infrastrutture ha concluso.
Marco Follini (Presidente APT), Alessandro Araimo (EVP COO Discovery Southern Europe), Francesco Dini (Vice Presidente di Elemedia, Gruppo Editoriale l’Espresso)
Marco Follini (Presidente APT) si è preliminarmente concentrato sul disegno di legge governativo che interessa la Rai e che sembra verrà approvato nelle prossime settimane. Successivamente ha rilevato come la Rai resti la più importante industria culturale del paese segnalando alcuni elementi di novità, di suggestione contenuti in tale disegno, ma come la scelta di un amministratore delegato, il tentativo di creare però un’intercapedine tra la Rai ed il sistema politico, risolvendo il problema annoso relativo alle fonti di nomina, avrebbe tuttavia costituito un passo nella giusta direzione. Il Presidente di APT ha poi affermato di non condividere la scelta del Governo di mantenere la Commissione Parlamentare di Vigilanza sul sistema radiotelevisivo che ha definito “un reperto brezneviano”. Sarebbe stato più opportuno individuare “all’interno di Camera e Senato una Commissione che fosse interlocutrice del sistema radiotelevisivo nel suo complesso piuttosto che la frammentazione attuale in cui si inserisce la Commissione di vigilanza che riguarda solo la Rai”. Con particolare riferimento al disegno di riforma della concessionaria pubblica Follini ha rilevato come “il punto fondamentale sia e resti quello relativo alla natura giuridica della società Occorre cioè decidere, una volta per tutte, se si sta parlando di una società di diritto privato e mettere un punto fermo sul tema per capire, tra l’altro, quali sono i confini entro i quali la burocrazia aziendale è indotta a muoversi”. Ha poi ricordato come “per molto tempo la Rai abbia esercitato il monopolio della trasmissione televisiva, monopolio che poi si è rotto per ragioni dovute alla competizione e abbia dato vita ad un sistema inizialmente duopolistico per poi allargarsi e complicarsi ulteriormente. L’esperienza di altri Paesi europei, si pensi a quella inglese perché la più rodata, ha dimostrato che un sistema che funzioni ha bisogno di un pluralismo anche imprenditoriale”. Parlando più in generale del sistema culturale e di comunicazione Follini ha poi sottolineato come “sulle opere dell’ingegno si debba investire e fare una scommessa forte perché costituiscono uno degli ‘asset’ fondamentali del nostro Paese”. I nostri prodotti dell’ingegno sono infatti visti con curiosità. La nostra bilancia commerciale dal 2006 al 2012 ha evidenziato un forte aumento delle importazioni e un forte decremento delle esportazioni, bisogna quindi riuscire ad equilibrare le due voci con conseguenti benefici anche per i produttori di opere dell’ingegno. “E’ necessario che il legislatore e la classe politica procedano ad un ripensamento del rapporto tra chi produce un’opera e chi la mette in onda, ‘limare’ il confine tra queste due realtà che hanno entrambe interesse alla buona riuscita della produzione”. Follini ha poi ricordato l’esistenza del problema delle quote e dell’attività di vigilanza dell’Autorità che deve svolgere sull’applicazione delle stesse e che “occorre affrontare certi problemi e, se necessario, cambiare le regole”. Da ultimo, Follini ha sottolineato che bisogna porre attenzione “ai nuovi media sotto il profilo della forza economica. Gli Over The Top, favoriti anche da sistemi di tassazione compiacenti, hanno acquistato progressivamente forza sul mercato. Occorre poi interpretare questi media in una chiave più critica”. La televisione era stata accolta con diffidenza dagli uomini di cultura, Umberto Eco aveva rappresentato un’eccezione che ha consentito di capire e far capire quanto il mondo della televisione fosse importante rispetto a quanto la coscienza dei letterati avesse percepito. Con la comunicazione in rete si stanno riproponendo un po’ gli stessi problemi. Occorre quindi che questi mezzi di comunicazione siano accompagnati da uno spirito critico molto forte per consentire che si crei una gerarchia che nasce dal merito che va riconosciuto alla varietà di prodotti immessi in rete, ha concluso Follini. Alessandro Araimo (EVP COO di Discovery Southern Europe) è intervenuto sostenendo che “è difficile parlare oggi di futuro della televisione perché è difficile definire cosa sia la televisione; è difficile utilizzare categorie che negli ultimi 15 anni stanno cambiando rapidamente. Attualmente in ogni parte del settore radiotelevisivo esistono contaminazioni. L’utente si trova di fronte a contaminazioni che vanno ad incidere anche sulle modalità di produzione dei contenuti, a seconda che gli stessi debbano essere distribuiti su piattaforme diverse ed integrate e devono essere ottimizzati per una fruizione che può essere di 2 minuti come di 2 ore, che può essere sul treno o in ufficio”. La contaminazione è frutto anche di una scelta. L’utente dei media ha oggi una scelta molto più ampia e differenziata rispetto a quella che analizzata 50 anni fa da Umberto Eco. Ha la scelta della tempistica e della modalità di fruizione, e soprattutto del contenuto del quale lo stesso va a fruire. Questo fa si che l’operatore televisivo, il “broadcaster” o il distributore deve essere in grado di servire il proprio cliente in un mondo di scenari molto più complesso di quello di 50 anni fa. Un mondo ed una modalità che si è ampliata in maniera esponenziale negli ultimi 15 anni. “Ormai neppure più la fruizione di contenuti su Internet o sugli ‘smartphone’ è qualcosa di drammaticamente nuovo. Ciò vuol dire che occorre chiedersi tra 50 anni come verrà fruito il contenuto video”.
“Il contenuto di qualità non dipenderà dall’argomento o dalla tipologia di prodotto che sto trattando, ma dalla modalità di trattamento per rispondere alle diverse modalità di fruizione” ha aggiunto Araimo. Le modalità di fruizione saranno evidentemente differenti rispetto a quelle di 50 anni fa e probabilmente saranno costituite da un mix di modalità di fruizione. “E’ quindi molto probabile che il lineare riduca la sua rilevanza. La linearità così come la televisione generalista o di offerta generalista non scomparirà costruendosi una sua fetta nella dieta mediale dei nostri utenti che integreranno una fruizione lineare a una non lineare”. “In questa ottica sarà importante il concetto di ‘destination’ cioè un contenuto che l’utente andrà a cercare in molti modi piuttosto che quello di ‘canale’. Questo approccio apre nuove ipotesi di collaborazione tra operatori sul mercato. In questo logica il contenuto domestico, locale per noi è molto importante. Certo è che allora il tema infrastrutturale assume una sua centralità a fronte degli ingenti investimenti necessari per governare il cambiamento” ha concluso il COO di Discovery Southern Europe. “Molte problematiche del sistema non sono dovute a una crisi irreversibile e strutturale del settore dell’industria dei media, ma sono dovute a carenze di ‘policy’ e di ‘governance’ proprie sia della politica italiana sia da parte delle massime istituzioni. Questo per dire che, lato contenuti di qualità, per televisione, informazione, broadcaster, intrattenimento, radio non ci sono motivi di preoccupazione” questo l’avvio dell’intervento di Francesco Dini (Vice Presidente di Elemedia, Gruppo Editoriale l’Espresso). Dini ha ricordato come gli intellettuali 50 anni fa non avessero ben accolto l’avvento della televisione. Pietro Citati espresse all’epoca una forte preoccupazione. Temeva che ci fosse una contaminazione. Tutto questo poi è successo in modo virtuoso. In quegli anni personaggi di spicco della cultura come Pasolini hanno fatto televisione, film, documentari ed e’ nata la multidisciplinalita’ artistica…. Come ha rilevato anche Grasso – ricorda Dini – i giornali si continuano a comprare come uno o due secoli fa, per vedere un film al cinema bisogna uscire di casa e pagare un biglietto alla cassa, la televisione tra le mura domestiche resta il principale passatempo. “Non muoiono i giornali, non muore la radio, tanto meno muore la televisione con la massa d’informazione ed intrattenimento che può offrire. Certo un articolo, un audio, un video sono fruibili anche su “device” digitali. Non è cambiato il modello produttivo dei contenuti di qualità, si è cercato di avvicinarsi alle comunità e conquistare un pubblico giovane. Ciò non determina il funerale della televisione né della carta stampata anche perché questi prodotti sono adattati alle caratteristiche, alle ritualità della piattaforma originaria. I giornali si leggono su carta durante la settimana poi il sabato e la domenica stiamo sulla versione digitale del giornale. Anche la più antica delle piattaforme, che è il libro, avrà ancora lunghissima vita”. Dini ha poi aggiunto: ”L’industria dei media audiovisivi vive di copyright e pubblicità. L’industria dei media è l’unica industria italiana che ha una proiezione verticale verso la catena internazionale del valore, ma mantiene anche una espansione orizzontale verso la società. Questa industria ha consentito, tra le altre cose, il consolidamento delle democrazie rappresentative occidentali. Inaridire queste due fonti significa intaccare il ruolo che le aziende culturali e mediali hanno svolto all’interno della società. E’ per questo che la riflessione sul diritto d’autore nella legislazione nazionale non è più rinviabile; se non si tutelerà il diritto d’autore l’industria dei media audiovisivi è destinata a morire”.
L’altro punto è la pubblicità che ha un ruolo essenziale e strategico: senza questa risorsa non ci sarebbero mezzi indipendenti con un’offerta così ricca. I giornali dovrebbero basarsi solo sui ricavi delle vendite delle copie che non sarebbero sufficienti. La crisi ha portato ad un ridimensionamento dei volumi della pubblicità che ha inciso profondamente nella struttura dei costi. Inoltre oggi la pubblicità si vende anche diversamente, tenendo conto dei nuovi veicoli di distribuzioni dei contenuti e delle nuove tecnologie di mezzo che si sono inserite sconvolgendo il paradigma economico che ha tenuto in piedi l’impresa dei media. “Oggi la vecchia catena del valore che fatto 100 di investimenti dava 70 agli editori esiste ancora solo in parte; e’ nata una nuova filiera nella quale del 100 investito in pubblicita’ arriva agli editori solo il 30, vuol dire che è successo qualcosa e che una parte cospicua del valore si e’ persa tra intermediari e tecnologie di mezzo. Siamo di fronte ad una crisi strutturale che evidentemente non risiede nella disaffezione verso i contenuti, ma nell’assenza di quella dimensione statuale che garantiva una sintesi tra incentivo allo sviluppo, diritti delle persone e condizioni di effettiva concorrenza.
“Occorrono quindi sicuramente decisivi interventi di regolamentazione in molti settori. Occorre ‘governance’ in particolare sui dati. Oggi non si vendono più spazi pubblicitari con dei ‘target’, oggi si vendono dei profili e il problema e’ proprio l’assenza di governance direttamente su questo segmento e non l’obsolescenza del prodotto. Occorrono quindi riforme a livello legislativo che regolino l’utilizzo di questo tipo di profilazione, vietata in Europa e legale negli USA. Ciononostante l’industria dei media italiana e’ un’industria complessivamente sana. ”- ha concluso Dini.
Marco Ghigliani (AD La7), Emilio Carelli (SKY, Vice Presidente CRTV e Direttore della Collana), Stefano Selli (Mediaset e Vice Presidente CRTV), Maurizio Giunco (Presidente Associazione TV Locali aderente a CRTV, Ruben Razzante (Docente Università Cattolica, Lumsae Pontificia Università Lateranense)
Marco Ghigliani (Amministratore Delegato di La7), dopo avere ribadito il valore dell’approfondimento degli scenari come contributo di CRTV al sistema in un contesto di grande trasformazione in cui tutte imprese del settore sono impegnate per delineare le proprie strategie di sviluppo, a cinquant’anni dall’ uscita di “Apocalittici e integrati” di Umberto Eco, ha sottolineato come questi anni siano stati “straordinariamente densi e ricchi di cambiamenti, e come la TV abbia svolto – e continua a svolgere – la sua funzione di specchio riflettente. Si può discutere sul fatto che si tratti di uno specchio fedele o meno” ha aggiunto Ghigliani “ma sempre, e dico sempre, ha cercato di raccontare la realtà e i suoi mutamenti”. Secondo Ghigliani, oggi, con il flusso incontrollato di immagini (basti pensare ad Internet, con Instagram e il nuovissimo Periscope) la TV non solo non viene sommersa e travolta, ma può trovare una ragione di forza proprio nell’interpretazione di quelle immagini. La TV deve cioè continuare a svolgere la sua fondamentale funzione di mediazione, raccontando la realtà e al contempo fornendone le chiavi interpretative. “Oggi”, – ha aggiunto- “ è semmai necessaria una riflessione su ciò che sono diventati i “talk show” di informazione politica”.
Ghigliani ha poi sottolineato quanto Eco sia stato lucido quando ha scritto che la “scarsa autorevolezza degli uomini politici” è compensata “dallo scambio delle opinioni”. I “talk show” sono un formato che permette alla politica e all’antipolitica di autorappresentarsi e dunque di contribuire alla formazione di una pubblica opinione informata, come d’altronde sottolineato dallo stesso Eco nella prefazione del 1979. La moltiplicazione delle fonti sulla Rete ha un impatto sull’offerta dei media: se da un lato riducono il ruolo di “talk show” quale strumento di costruzione del consenso politico, dall’altro gli attribuiscono una maggiore responsabilità nella rappresentazione delle diverse posizioni politiche e sociali. “E’ questa la qualità editoriale che le imprese televisive possono e devono garantire grazie alla propria professionalità” ha concluso l’AD de La7. Ghigliani ha poi scandagliato la strettissima interazione tra i contenuti e la modalità di fruizione degli stessi, cioè la tecnologia abilitante e le abitudini che cambiano, sottolineando l’importanza di una profonda riflessione dei “broadcaster” televisivi in merito al tema. “La fruizione della televisione è sempre più attiva e meno passiva. E ciò attribuisce importanza ancora maggiore alla scelta dei giusti contenuti da parte dei “broadcaster” in un mondo di sovrabbondanza di contenuti. E’ la scelta mirata del contenuto a fare la differenza e lo sarà sempre di più” ha aggiunto.
Inoltre, sullo sfondo di questo scenario, si rivoluziona anche il concetto di segmentazione: lo spettatore non sarà inquadrabile in una “tipologia” di spettatore, ma assumerà diversi profili a secondo del momento della giornata o della settimana o della stagione in cui si trova e del luogo in cui si trova. Il target non è più riconducibile ai vecchi canoni di classificazione. “Il target è liquido, è una matrice in continua trasformazione. E anche i cambiamenti che saranno introdotti nei sistemi di rilevazione ne dovranno tener conto”. La centralità della televisione nel sistema dei media è infine confermato dalla presenza esorbitante di televisione sul web: si guarda, si commenta, si usa per orientarsi e discutere. Per parlare della televisione del futuro, cioè di come cambia la TV, non si può infatti non fare i conti con i social media. L’integrazione della televisione con i social media, ha preso una forma forse imprevedibile all’inizio del fenomeno. Grazie ai social media e alla potenza di Internet, non più solo il personaggio televisivo ma anche l’uomo della strada può comunicare con milioni di persone. E per di più in maniera veramente interattiva. “Trovo interessante – ha aggiunto Ghigliani – che oggi i social media abbiano ancora bisogno dello schermo per raggiungere la visibilità del grande pubblico. Twitter diventa sottotitolo delle trasmissioni televisive e integrazione della televisione in “broadcasting” e sempre più spesso le trasmissione televisive parlano di quanto avviene in diretta sui social media e sui social si commenta la televisione. I contenuti nati per internet vengono trasmessi dalla televisione. Internet a sua volta parla di televisione e a sua volta la televisione viene spacchettata per essere ritrasmessa su internet. L’integrazione tra questi due mondi si sta sviluppando in maniera naturale e non necessariamente conflittuale”.
L’intervento di Emilio Carelli (SKY, Vice Presidente di CRTV, Direttore della Collana e autore del saggio “Televisione: le radici del futuro” ha poi contribuito al dibattito del secondo panel. “Uno dei meriti di Confindustria Radio TV – ha esordito Carelli – è stato sicuramente quello di mettere a confronto realtà televisive che per storia, cultura, modello di business sono state e sono tuttora molto diverse fra di loro cercando però punti in comune e condivisibili.” Ha poi aggiunto come il primo numero de “I Quaderni di CRTV” abbia rappresentato un terreno di confronto franco e schietto fra le diverse concezioni di televisione e di futuro di televisione. Tutti naturalmente sono partiti dai grandi cambiamenti che la rivoluzione digitale ha portato nella televisione. Il confronto si è fatto più serrato nel momento in cui si è affrontato il tema del palinsesto, che chi conosce bene la TV, sa benissimo quanto sia importante per il successo di un canale e per il telespettatore. “Ebbene mentre l’amico e collega Stefano Selli ne ha sancito nel suo saggio una sorta di lunga vita al palinsesto, io nel mio saggio su ‘Televisione: le radici del futuro’ ne celebravo il De profundis, rilevando che la vera rivoluzione in atto nella TV è quella della fruizione, che in futuro sarà sempre meno lineare”. Iscrivendosi nella schiera dei nuovi apocalittici della tv, Reed Hasting, amministratore delegato di Netflix ha detto recentemente: “E’ probabile che intorno al 2030 la televisione generalista lineare sarà morta”. Noi non sappiamo se questa previsione si avvererà. Sappiamo che il più grande e rivoluzionario cambiamento indotto dalla tecnologia digitale non solo è stato rappresentato dall’avvento della multicanalità o dell’interattività, dalla pay tv o dall’enhanced tv, come si pensava solamente pochi anni fa. “La vera rivoluzione – ricorda Carelli – è il cambiamento della fruizione, è il progressivo calo della visione dei canali televisivi come li vediamo ora, strutturati in un palinsesto lineare, con un susseguirsi di appuntamenti fissi nel corso della giornata. Tutte le ricerche recenti confermano una diminuzione di questa modalità di vedere la televisione, a favore di una visione personalizzata di prodotti video on demand. Una visione che permette attraverso tecnologie diverse (TV, IPTV Internet) di vedere quello che voglio, quando voglio, eventualmente pagando per questo servizio. La visione apocalittica del tramonto della tv lineare, generalista, trasmessa simultaneamente al grande pubblico attraverso canali gratuiti o commerciali, non è una novità, ha aggiunto Carelli. Si tratta del frutto di una riflessione basata sui possibili sviluppi di un “trend” facilmente osservabile, sia in base alla progressiva frammentazione degli ascolti (fenomeno sviluppatosi con maggior rapidità dall’avvento del digitale), sia sulla base di un mutamento, più recente ma già evidente, nelle abitudini d’ascolto del pubblico televisivo. La anytime, anywhere tv non sembra essere più un fenomeno limitato alle fasce più giovani e dinamiche, ai millennials, ai nativi digitali. Attraverso un progressivo contagio delle generazioni precedenti, sulla spinta della maggior diffusione dei dispositivi abilitanti (tablet e smartphone per il mobile, set top box, console e smart tv per la sofa tv), la liberazione dello spettatore dalle rigidità del palinsesto è divenuta un fenomeno sociale concreto, osservabile e che comincia anche ad essere misurabile. Una tendenza che si sta rapidamente diffondendo in tutto il mondo e anche in Italia. Secondo l’Ericcson Consumerlab Annual Research 2014 il consumo di televisione lineare nel nostro Paese nel giro di tre anni (2011-2014) è scesa dall’83% al 77%. Contemporaneamente il consumo di programmi video (intendendo per questo short clips, film, serie tv, video da You Tube) è aumentato dal 61% al 75%. Non è difficile immaginare in tempi rapidi un sorpasso di quest’ultima modalità on demand su quella tradizionale della TV lineare. La stessa ricerca rivela che è in atto un passaggio netto dalla tv al contenuto, con una modalità che viene chiamata “the pick-and-mix attitude”, una sorta di nuovo atteggiamento di pescare e mischiare i contenuti. Insomma la gente tende ora a guardare i contenuti e non la tv. Il fruitore tende a far riferimento a categorie di contenuti e titoli, piuttosto che alla tv tradizionale, infischiandosene delle tecnologie di accesso. L’ultimo dato rivela che un utente su tre preferisce il “pick-and-mix” all’offerta dei palinsesti tradizionali, in una sorta di approvvigionamento di contenuti da guardare quando e dove si vuole. A cambiare è anche lo strumento con cui si fruisce di un prodotto video e di conseguenza il luogo della fruizione. La risposta di SKY a queste nuove tendenze è stata molteplice: My SKY HD, OnDemand e il recente accordo SKY-Telecom. “C’è un calcio giocato e un calcio parlato, si diceva una volta. La televisione genera, continua a generare, un ampio dibattito sui media” è stato invece l’esordio dell’intervento di Stefano Selli, Direttore Relazioni Istituzionali di Mediaset, Vice Presidente di CRTV e autore del saggio “Anche gli apocalittici sono stati integrati. Fine di una gloriosa dicotomia”, incentrato sull’importanza della televisione generalista. “Nella tv di oggi ci sono programmi che fanno poche migliaia di ascolti, ma che generano pagine e pagine di giornali e diventano fenomeni sociali e culturali; si fanno indagini, valutazioni, analisi sulle prospettive del mezzo all’avanzare di Internet; anche un certo mondo intellettuale che un tempo osteggiava la tv oggi vede nella tv di nicchia un prodotto di qualità. I quaderni di oggi ne sono la conferma, la TV resta al centro del dibattito dei media”. Tuttavia, continua Selli “c’è un grande escluso nel dibattito: il grande pubblico, l’individuo di massa come diceva Eco”. Selli ha quindi rivendicato la funzione sociale della televisione gratuita. Ci si dimentica infatti che non tutti hanno i mezzi, la capacità culturale di fruire dei nuovi media. Il carattere inclusivo e discreto della televisione generalista, “la tv che riempie il tempo vuoto lasciandolo vuoto”, (come è stata definita nel saggio di Selli pubblicato nel primo numero della Collana di CRTV) è rassicurante, scandisce le giornate, lascia la libertà di fare altro restando nel sottofondo. E la sua accessibilità con contenuti inclusivi, è alla portata di tutti. Selli ha poi rivendicato la centralità, nonostante tutto, delle televisione “tradizionale” nei consumi. “Si enfatizza sempre la novità degli OTT, della possibilità di fruire di un’offerta libera, non incanalata in un palinsesto, dei contenuti “on demand”, della multicanalità: poi però si vanno a vedere i dati e la grande massa continua a seguire la televisione generalista”. Un esempio tipico è l’informazione: il pubblico, anche quello più giovane, segue i telegiornali non quelli sui nuovi canali “all news”, ma quelli delle reti generaliste, strutturati in un palinsesto. Ha poi sottolineato l’importanza, tuttora fondamentale, della diretta televisiva che crea eventi sociali e culturali e il carattere di massa dei contenuti veicolati, sempre nell’ottica dell’accessibilità larga che è tuttora prerogativa unica della televisione.
“Le sfide sono chiare a tutti”, ha concluso Stefano Selli “bisogna evitare il rischio ‘ultrageneralista’, come ad esempio il talk show politico con il comico dentro, un’informazione emotiva che crea eventi dove gli eventi non ci sono, alcune derive di ibridazione dei generi”. Bisogna investire sulla qualità del prodotto “ma attenzione contenuto di qualità non è necessariamente quello che incontra il consenso di alcune punte più avanzate del pubblico” e sulla sua esportabilità, in un’ottica di internazionalizzazione. Bisogna, soprattutto, investire sulle risorse, in particolare quelle frequenziali, per garantire che un segnale di qualità, come l’alta definizione di nuova generazione, possa continuare ad essere, gratuitamente, patrimonio di tutti. Nel suo intervento Maurizio Giunco (Presidente dell’Associazione TV Locali aderente a CRTV e autore del saggio “Locale globalizzato e connesso” pubblicato sul primo numero della Collana), dopo aver ringraziato il Presidente De Laurentiis per l’importante iniziativa de “I Quaderni di CRTV”, ha sottolineato in via preliminare l’importanza che all’interno di CRTV si continui un percorso comune di approfondimento sul futuro del settore radiotelevisivo. Venendo al tema del dibattito, ha ricordato che del pensiero di Eco, a distanza di 50 anni, resta sicuramente valido un principio: tutto ciò che viene scritto in tema di comunicazione di massa può considerarsi transitorio. Così come si possono considerare transitorie le idee e gli attuali piani industriali delle aziende radiotelevisive. Ha quindi ricordato come tutto ciò dipenda dall’evoluzione rapidissima del progresso tecnologico (all’epoca della nascita della TV nessuno avrebbe mai potuto immaginarne l’attuale trasformazione), ma anche dal variare dei gusti, dalle esigenze e dal pensiero del pubblico che un tempo cambiavano con una cadenza generazionale e oggi non resistono oltre i 5 anni. Giunco ha quindi sostenuto di non credere alle grandi previsioni e in particolare a quella di Reed Hasting secondo il quale intorno al 2030 la televisione generalista lineare sarà morta. Al massimo può considerarsi un auspicio dell’amministratore delegato di Netflix anche perché al momento i numeri e i dati del settore radiotelevisivo non — sembrano orientarsi in tale direzione. Anzi la televisione sta dimostrando capacità di adeguarsi ai cambiamenti tecnologici e di pensiero delle nuove generazioni ed è sempre più viva e protagonista. Una conferma indiretta arriva dalla storia dell’avvio delle TV private locali (vissuta in prima persona da Giunco) negli anni ‘70 e di quelle nazionali nel decennio successivo. Tale nascita è avvenuta non per una particolare genialità, ma più semplicemente perchè il pubblico non si riconosceva più nei mezzi di comunicazione di massa di allora che non riflettevano il pensiero della maggioranza della popolazione. Per questo motivo, cadde principalmente il monopolio televisivo. Ha poi ricordato come le TV Locali inizialmente si affermarono come televisioni popolari e generaliste e di come finirono nel tempo col cedere questo aspetto a quelle nazionali, specializzandosi nell’informazione territoriale. Nel confronto con il passato, Giunco non ha poi mancato di sottolineare come la televisione mantenga la propria importanza malgrado abbia perso la prerogativa di costituire l’unico elettrodomestico che entrava direttamente in tutte le case degli italiani. Per converso la TV oggi ha acquisito un’altra funzione caratterizzante: la multimedialità. Ciò ha permesso di far crollare il “muro” delle differenze tra i vari mezzi di comunicazione di massa (quotidiani, periodici, TV, nuovi media). Con riferimento alla difficile situazione del comparto dell’emittenza locale, il Presidente dell’Associazione TV Locali ha infine ribadito che gli editori potranno superare le difficoltà se non perderanno di vista la loro missione e funzione che è stata di grande importanza dal punto di vista storico e culturale. Aldilà dell’evoluzione tecnologica e dei mutamenti di pensiero al centro resta sempre l’uomo, il cittadino legato alle sue tradizioni e alle sua cultura perché la globalizzazione non sradica dalla propria storia. Proprio per questo la TV locale esercita un ruolo importante in un momento in cui l’offerta televisiva nazionale e di prossimità appare avulsa dalla realtà italiana. A conclusione del suo intervento ha infine ricordato che prima dell’avvento del digitale il numero delle TV locali ricevibili in Italia era di circa 500 e di come questo numero già enorme di soggetti si sia moltiplicato con l’adozione della tecnologia digitale. Oggi vi sono visibili circa 3200 programmi di cui però solo 90 hanno una loro dignità. Per assicurare la sopravvivenza del comparto dell’emittenza locale è quindi necessario e non più rinviabile, un intervento di revisione della normativa di sistema. Ruben Razzante (Docente di Diritto dell’Informazione e di Diritto della comunicazione per le imprese e i media all’Università Cattolica, Diritto dell’informazione alla Lumsa e Pontificia Università Lateranense, autore del saggio “Libertà e tutela dei diritti nei nuovi media, una sfida epocale“) ha infine sottolineato che la Collana si contraddistingue proprio per proporre alla lettura non un oggetto da scaffale bensì uno strumento dinamico, amplificatore di CRTV su temi che devono essere analizzati sotto diverse angolature e che vedono nel rapporto tra cultura e impresa la cornice nella quale inquadrare la complessità, il “leitmotiv” del primo numero. Innovazione tecnologica e cambiamento non possono non essere accompagnati da una riflessione robusta su temi che non riguardano solo i “broadcaster”, ma la società nel suo complesso e la vita dei cittadini. In questa dinamica c’è uno spazio enorme per fare sistema attraverso la valorizzazione dei multiformi apporti e delle peculiarità dei diversi operatori che si confrontano sul mercato. L’approfondimento tematico fornisce spunti sui temi chiave per il settore, a partire dalla cruciale protezione del diritto d’autore, su cui si misura la maturità della classe politica per individuare soluzioni rispettose della storia degli editori televisivi e del mercato e per salvaguardare le potenzialità della filiera della produzione e della distribuzione dei contenuti audiovisivi che non può essere pregiudicata dall’onda degli Over-The-Top.