Come di consueto nel mese di luglio l’Autorità per le Garanzie delle Comunicazioni presenta al Parlamento la propria relazione annuale delle attività. Quest’anno la relazione del Presidente Giacomo Lasorella ha coinciso con il venticinquesimo anniversario dall’approvazione della legge istitutiva dell’Autorità: la legge n. 249 del 1997 venne, infatti, approvata definitivamente dal Senato, in seconda lettura, proprio il 29 luglio. Oggi più che mai la lungimiranza di istituire un’Autorità convergente mostra la sua importanza, in un momento in cui media, comunicazioni, telecomunicazioni, commercio elettronico vedono operatori, modelli di business e rapporti con gli utenti convergere, appunto, con la conseguente necessità di aggiornare norme e regole.
Gli spunti dalla Relazione sono tanti, soprattutto dal punto di vista degli interventi di regolazione effettuati e in itinere. Ad una prima lettura, tuttavia, ci preme riportare i dati riferiti al settore radiotelevisivo, che l’Autorità può redigere in tempi più rapidi e su ambiti spesso non coperti dai dati di bilancio o di mercato, per gli obblighi di comunicazione posti in capo agli operatori (es. obblighi di programmazione e investimento in produzione europea e indipendente).
La ”ripresina” della pubblicità sui media. I dati Agcom relativi al settore media (tv, radio, quotidiani, periodici) documentano una ripresa dei ricavi nel 2021. La ripresa, tuttavia, è parametrata sul 2020, ed è ancora al di sotto dei livelli pre-Covid. Dai dati risulta che fra le varie risorse che afferiscono al settore, la componente che ha il rimbalzo più accentuato – pur rimanendo al di sotto dei livelli del 2019 – è quella dei ricavi pubblicitari, trainati sostanzialmente, come vedremo, dalla tv (il 69,2% degli introiti, la radio il 5%). Stabili e in leggero aumento i fondi pubblici, in calo i ricavi lato utenti.
“Si assiste a un calo generalizzato dei ricavi, che negli ultimi cinque anni si sono ridotti di oltre 1 miliardo di euro, sia pure in presenza di un rilevante aumento del segmento del video on demand (VOD). La flessione dei ricavi colpisce sia la tv a pagamento satellitare e digitale terrestre, che sconta una diminuzione delle sottoscrizioni unitamente a una riduzione dei prezzi degli abbonamenti, sia la carta stampata, ormai in crisi strutturale da oltre dieci anni”, indica la Relazione. “Sebbene sia la raccolta online ad attrarre le quote maggiori di investimento pubblicitario, i ricavi da pubblicità aumentano per tutti i mezzi, tornando a costituire il 40% del totale. Tuttavia l’incremento è tale da compensare, soltanto per i ricavi da vendita di spazi pubblicitari sulla tv in chiaro e i quotidiani, l’ingente calo subito nel 2020, mentre le risorse pubblicitarie per radio e, soprattutto, periodici rimangono su valori ampiamente inferiori a quelli del periodo pre-pandemia”.
TV, è la pubblicità a finanziare la ripresa. L’aumento del peso della risorsa pubblicitaria emerge più chiaramente nella ripartizione dei ricavi televisivi, dai quali risulta che la componente free dei ricavi complessivi del settore si conferma al di sopra di quella pay , specialmente nell’ultimo anno dove si evidenzia un rimbalzo netto a favore dell’offerta gratuita (+9,7%) che giunge a rappresentare oltre il 60% del totale, mentre i ricavi totali della tv a pagamento diminuiscono (-3,6%), portandosi sui 3 miliardi, il valore più basso dell’ultimo quinquennio. Un andamento, quindi, che non appare congiunturale e legato alla crisi pandemica.
“Nella televisione a pagamento, si confrontano, analogamente al 2020, due dinamiche opposte” indica la Relazione. “Per un verso, i ricavi da vendita di offerte a pagamento (pay tv e pay per view) e pubblicità riconducibili alle piattaforme satellitare e digitale terrestre, che costituiscono ancora la parte prevalente del totale, diminuiscono del 14,5%. Per altro verso, le risorse generate dalle offerte sul web, includendo le sottoscrizioni di abbonamenti (S-VOD) nonché la vendita e il noleggio di singoli contenuti (EST e T-VOD), esibiscono un tasso di crescita di oltre il 30%”. I ricavi afferenti a quest’ultima componente, sfiorano il miliardo di euro nel 2021. La frenata delle entrate da abbonamenti su satellite e digitale terrestre e il rafforzamento delle quote di ricavi realizzati dalle piattaforme online attive nell’offerta di contenuti audiovisivi sul web (tra cui Netflix, Dazn, Amazon Prime, Disney+, TIM Vision) influisce sugli assetti di mercato” inducendo, secondo Agcom, una riduzione del livello di concentrazione della tv a pagamento.
Nel grafico che segue la conferma: il 2021 segna la risalita dei ricavi del settore (+4,1%), stimati in 7,9 miliardi di euro con la crescita “trainata in particolar modo dalla tv in chiaro, con una ripresa della raccolta pubblicitaria, che mostra un incremento, tornando a rappresentare la fonte prevalente di finanziamento per il mezzo (39% del totale dei ricavi televisivi)”.
Radio, fra ripresa e ripartenza. La radio, nel secondo semestre 2021 vede una ripresa degli ascolti, soprattutto quelli in mobilità (autoradio, drive-time) e i “primi segnali della ripresa economica, non sufficienti tuttavia a compensare le drastiche riduzioni del periodo pandemico: le risorse economiche derivanti dall’attività radiofonica sono passate da 551 a 613 milioni di euro con un incremento dell’11,4%, ma il valore non risulta idoneo a recuperare pienamente quanto ricavato nel 2019″, anno che chiudeva un quinquennio felice della radio con investimenti pubblicitari in crescita. Il rimbalzo nel 2021 è evidente, l’auspicio è che non sia solo una ripresa, ma una ripartenza.
“Analizzando la composizione delle entrate, nel 2021, i ricavi da vendita delle inserzioni pubblicitarie, crescono del 14,2%, portando il valore complessivo di tale componente a 460 milioni di euro, e continuano a rappresentare la fonte prevalente di finanziamento dell’attività radiofonica; anche gli introiti da riscossione del canone per il servizio pubblico radiofonico presentano un andamento in crescita nell’ultimo anno (+5,4) attestandosi su valori totali pari a 104,8 milioni di euro”.
Quote di programmazione e investimento: la tv si conferma virtuosa, la novità dei dati degli operatori VOD. “Il valore medio della programmazione di opere europee da parte dei fornitori di servizi di media audiovisivi nazionali si attesta al 61%, superando ampiamente la soglia del 50% fissata dalla legge. Per quanto riguarda il dato relativo alle opere europee recenti, il valore medio si attesta al 39%. Se si considera il dato per palinsesto, il valore medio per le opere europee è pari circa al 76%, mentre per le opere europee recenti si attesta intorno al 39%”. Le emittenti in pieno periodo pandemico oltre alla continuità del servizio hanno garantito il rispetto degli obblighi di programmazione.
Anche per quanto riguarda gli obblighi di investimento in produzione di opere europee di produttori indipendenti, previsti dall’art. 44-ter del TUSMAR, ovviamente riferito al quadro normativo in vigore nel 2020, il dato medio risulta pari al 20,3%, pressoché stabile rispetto allo scorso anno, e ben superiore alle soglie minime di legge, pari al 10% per le emittenti private ed al 15% per la concessionaria del servizio pubblico.
L’impatto della crisi indotta dalla pandemia si legge invece nel valore degli investimenti in produzione, bloccati dallo stop alle attività: nel 2020, il valore complessivo degli investimenti dichiarati dai principali fornitori di servizi di media audiovisivi risulta essere pari a 814,8 milioni di euro, un dato in decrescita se raffrontato ai 993,7 milioni del 2019, che testimonia l’impatto negativo della pandemia sul settore della produzione, recita la relazione.
Riguardo ai generi, i dati della Autorità relativi agli investimenti in produzione sono: intrattenimento, che copre il 34,3% del totale, fiction 27,7%, film 25,8%. Al genere informazione e attualità è destinato il 4% del totale. 3,5% i documentari, in crescita (era 2% nel 2020), stabile l’animazione (2,3%). Minore l’incidenza degli investimenti sui documentari, seppure in netto aumento rispetto al 2019 (dello scorso anno), e sull’animazione (2,3%, dato sostanzialmente stabile).
Nel 2020, sono stati raccolti per la prima volta anche i dati di investimento in opere audiovisive europee di produttori indipendenti riferiti agli operatori video on demand che, “ancorché stabiliti all’estero, offrono servizi diretti al pubblico italiano. In questo caso, il valore medio risulta pari al 35,9% degli investimenti complessivamente effettuati in Italia, pari a circa 290 milioni di euro, molto oltre la soglia di legge del 15%”.
Il testo completo della relazione a questo link