L’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni – AGCOM ha pubblicato lo studio “L’informazione alla prova dei giovani”, che cerca di utilizzare una prospettiva innovativa indagando la domanda di informazione dei giovani e l’offerta presente oggi in Italia. Lo studio certifica, come recita il comunicato “la fuga delle nuove generazioni dai mezzi tradizionali – evidentemente legata a un’offerta che non soddisfa le esigenze informative dei più giovani – e una vera e propria dipendenza tendenziale verso una sola fonte informativa, la rete”. I limiti di confezionamento e stili espressivi appiattiti dell’offerta tradizionale, poco aggiornata rispetto ai “linguaggi utenti”, favorisce secondo il rapporto “una specie di segregazione dei giovani nel mondo della rete, che diventa troppo spesso l’unico medium in grado di dar voce alle loro esigenze informative e in particolare sui social, per informarsi ma anche svolgere mille attività quotidiane, interagire tra loro, finendo così per appartarsi entro i confini ristretti della generazione di riferimento”.
L’analisi è di estremo interesse per molti profili: l’approccio, le fonti utilizzate – diverse, fra cui interviste (GFK Italia, giocani, SWG, contesto; Reuters Institute for the Study of Journalism per l’analisi comparata) Valocom Tecnology (database sull’offerta informativa in Italia), Auditel e Audiweb – e non ultimo i riferimenti, ricchissimi, alla letteratura nazionale e internazionale sul tema. Per chi lavora nel nostro settore sono molti gli spunti di interesse, anche se la diagnosi che individua nell’incapacità dei “media tradizionali” di trovare stili, linguaggi e temi che rappresentino i giovani appare non considerare debitamente: il ruolo che la Rete e la personalizzazione di consumi e terminali ha giocato sui nativi digitali; la declinazione di temi, contenuti stili e linguaggi portata avanti dai mezzi radiotelevisivi, che hanno anch’essi attivato contenuti e interazioni social con il proprio pubblico, di ogni età. Soprattutto, appare sbrigativo nelle conclusioni: ruolo del servizio pubblico da un lato e iniziative di digital e media literacy dall’altro. Il rischio è che non tentare di gestire un fenomeno epocale che riguarda tutte le nuove generazioni, ma non solo, rischia di dare spazio a un non a un “pluralismo 3.0”, come dichiara lo studio, ma a un pluralismo autoreferente e parcellizzato. Ma forse è nel dna dello studio che, come tale, deve proporre solo riflessioni.
Riportiamo alcuni estratti dalle premesse e le conclusioni (i titoli sono nostri).
Dai minori ai giovani-adulti. “Lo studio, focalizzandosi sull’incontro tra i giovani e l’informazione, si concentra sui ragazzi già adolescenti (ossia di età uguale o superiore a 14 anni) e individua tre coorti giovanili, caratterizzate da percorsi e cicli di vita differenti: ‘Minori’ (14-17 anni); ‘Giovani in formazione’ (18-24 anni); ‘Giovani-adulti’ (25-34 anni).
I minori non hanno ancora superato la maggiore età, confine che conferisce la piena capacità di agire: sono tutti ancora studenti e vivono all’interno della famiglia di origine. I giovani in formazione iniziano a differenziarsi per il percorso formativo o occupazionale, anche se quasi sempre continuano a vivere a casa con i genitori. Infine, i giovani-adulti sono una coorte a “metà”, composta cioè da individui oramai adulti spesso però privi dei mezzi economici che li consentono di raggiungere la piena indipendenza”.
Effetto Paese e effetto Generazionale. “I dati internazionali (che tuttavia non riguardano anche i minori) mostrano che i giovani italiani si informano almeno quanto, se non di più, dei coetanei europei. Tuttavia, emergono due effetti: un primo “effetto-Paese”, secondo cui i giovani italiani soffrono ancora di un gap digitale rispetto ai ragazzi degli altri paesi. D’altra parte, in Italia i giovani di tutte le età (“effetto generazionale”), rappresentano di gran lunga il gruppo demografico che più si affida alla rete per informarsi (oltre che per compiere mille altre attività, dai giochi alla comunicazione).In particolare, i giovani si rifugiano sempre più spesso tra i social, e lo fanno per informarsi, ma soprattutto per fare mille attività quotidiane”.
Stili comunicativi, temi, età dei giornalisti non rispecchiano i giovani. “L’allontanamento dei giovani dall’informazione più tradizionale appare legato alla presenza di un’offerta che non soddisfa le esigenze delle nuove generazioni. Le evidenze mostrano che in Italia – ma la situazione è simile anche in altri Paesi – gli stili comunicativi, i punti di vista, le tematiche trattate dai mezzi informativi tradizionali non si attagliano alle esigenze delle coorti più giovani: si pensi soltanto che l’età media dei giornalisti si è notevolmente alzata e varia dai 50 anni della TV ai 44 di chi scrive in testate online. Di conseguenza, l’età media delle audience di tutti i mezzi informativi è generalmente più alta dell’età media della popolazione italiana, con l’eccezione delle testate online che comunque presentano una età media di chi le segue pari a 44 anni. È interessante notare come le età di chi scrive le notizie e di chi le legge vadano di pari passo. L’assenza di punti di vista nuovi e giovani sposta inevitabilmente questi ultimi verso nuovi tipi di narrazione della realtà. E d’altra parte è interessante notare come l’informazione porti felicità a tutte le età. Le analisi condotte hanno dimostrato come leggere, cercare curiosità, informarsi, siano attività generatrici di soddisfazione; queste appaiono rappresentare un vero e proprio antidepressivo per le generazioni mature, ma anche uno stimolatore per le coorti giovanili.
Tuttavia, non tutta l’informazione porta soddisfazione, solo quella che più si attaglia ai diversi punti di vista e stili comunicativi. Quella tradizionale per le coorti mature, quella in rete per le nuove generazioni. Viceversa, come sta emergendo anche in studi qualitativi internazionali, questo rapporto ha evidenziato con la forza dei numeri come l’informazione tradizionale rischi di deprimere, invece di stimolare, le nuove generazioni che non si sentono rappresentate, per tipologia di contenuti (i giovani richiedono ad esempio molta più scienza e tecnologia di quanto sia oggi presente nei media tradizionali), per punti di vista, per stili di comunicazione.
Si consideri che molti dei prodotti informativi tradizionali (quotidiani, periodici, telegiornali, radiogiornali) non sono stati interessati negli ultimi decenni da significative innovazioni di prodotto. Ciò li rende di fatto spesso obsoleti e comunque meno attraenti per le giovani generazioni, che si riconoscono in prodotti e servizi di “nuova generazione” legati alla rete. È di tutta evidenza come gran parte dei servizi internet utilizzati dalle coorti giovanili siano stati ideati da imprenditori giovani e vadano a soddisfare, da tutti i punti di vista (modalità di prestazione del servizio, contenuto, apparecchi di fruizione, ecc.), esigenze e gusti del mondo giovanile”.
La ghettizzazione dei giovani in rete e maggiori rischi connessi. “In definitiva, l’elevata domanda di informazione tra i giovani si scontra, di fatto, con i molteplici limiti derivanti dall’attuale offerta, innescando una specie di ghettizzazione dei giovani nel mondo della rete, spesso unico medium in grado di dare voce alle loro esigenze informative (e non solo). Le diverse combinazioni di media utilizzati per informarsi indicano la maggiore dipendenza delle coorti più giovani da una sola fonte informativa, quasi sempre internet. Il rapporto analizza anche alcuni dei rischi sottesi da questa situazione. Si potrebbe pensare che la rete possa risolvere tutte le esigenze informative giovanili, con ciò stemperando in nuce eventuali problematiche sociali. Tuttavia, stante il ruolo positivo di attivatore esercitato dalla rete, e dai connessi servizi, sussistono alcune problematiche che questo rapporto intende evidenziare”.
Rischio 1: la mancanza di una narrazione condivisa. “Innanzitutto, quanto appena evidenziato evidenzia l’esistenza di una frattura generazionale nell’accesso all’informazione. Non solo le coorti giovanili accedono meno all’informazione, ma consumano comunque un diverso tipo di notizie rispetto alle generazioni più mature. Lo fanno attraverso apparecchi diversi (quasi sempre i cellulari), da fonti diverse (alle volte testate online, altre da influencer e blogger) e soprattutto attraverso intermediari nuovi (molto spesso i social). Ciò fa venir meno un collante sociale derivante da una narrazione più condivisa di ciò che succede nel mondo”.
Rischio 2: information divide e, per i più giovani, mancato sviluppo di senso critico. “La seconda criticità riguarda una problematica di esclusione. Il rapporto ha evidenziato l’esistenza di un “information divide”, ossia di un differenziale intra-generazionale nell’accesso alle notizie, che è spesso legato alla condizione socio-economica familiare. Vivere in contesti economicamente meno agiati riduce sensibilmente, sia per i giovani che, soprattutto, per gli adulti, la probabilità di acquisire informazioni, accedere alle notizie, rimanere informati sugli accadimenti del mondo. I giovani, infatti, mancano di quel bagaglio di strumenti, esperienze e conoscenze grazie alle quali si attivano i processi di apertura a più fonti e, di conseguenza, a punti di vista e orientamenti culturali diversi. La dipendenza da una sola fonte informativa – quasi sempre internet – risulta quindi particolarmente accentuata per i giovani, e i minori in particolare”.
Pluralismo 3.0? Queste evidenze portano ad interrogarsi sul tema del pluralismo informativo al tempo di internet e dei social, cosiddetto pluralismo 3.0. Da un lato, la rete è portatrice di un vastissimo aggregato di fonti di informazione, e punti di vista diversi tra loro. Dall’altro, i numerosi studi prodotti in questi anni dall’Autorità e da altre istituzioni internazionali hanno dimostrato come tale potenziale pluralità si scontri, nei fatti, con problematiche che ne limitano significativamente la portata. In sostanza, vi è un paradosso: internet si presenta potenzialmente capace di assicurare l’auspicato pluralismo informativo, in virtù dell’attitudine a diffondere e aggregare idee/ orientamenti diversi, a stimolare il confronto, il dibattito e l’apertura mentale; dall’altra parte, vi sono forze che a contrario tendono a chiudere i cittadini all’interno di ambienti chiusi, spesso, popolati da informazioni manipolate, false, o comunque di bassa qualità.
Fonti non professionali e disinformazione: i minori sono più esposti. “A quest’ultimo riguardo, in rete accanto a fonti professionali e qualificate, proliferano fonti non professionali, non qualificate, che talvolta producono e diffondono disinformazione. Il rapporto ha evidenziato come i minori, ancora in fase di costruzione delle capacità cognitive e conoscitive necessarie ad avere un approccio critico, siano i più esposti ai fenomeni di disinformazione, non sapendo spesso riconoscere le notizie ‘vere’ da quelle ‘false’”.
L’informazione al tempo dell’algoritmo: echo chamber e hate speech. “Considerata la forte dipendenza dei giovani dalla rete, e dai social in particolare, emerge il ruolo delle piattaforme online (e dei relativi algoritmi), nell’indirizzare i ragazzi verso punti di vista nuovi ovvero verso fonti che confermano le loro convinzioni. È oramai dimostrato da una solida letteratura scientifica come l’uso dei social media sia spesso legato alla formazione di eco-chambers, ossia di gruppi chiusi che amplificano, attraverso una ripetitiva trasmissione e ritrasmissione (tramite post, condivisioni,…), informazioni, idee o credenze più o meno veritiere, in cui visioni e interpretazioni divergenti finiscono per non trovare spazio né considerazione. Peraltro, questi processi di chiusura culturale e social(e) sfociano di frequente in fenomeni di incitamento all’odio (hate speech) nei confronti di soggetti portatori di idee, valori, culture, diverse”.
Informazione e social. “Nel rapporto (Capitolo 3) si analizzano quali social vengono più utilizzati e soprattutto che tipo di attività, anche in termini di sforzo cognitivo, vengono svolte in ambito social e che differenze sussistono tra le varie generazioni, anche in relazione a come si comportano invece gli adulti”.
“I social network sono oggi molto diffusi tra la popolazione giovanile. I giovani, più degli adulti, non solo li utilizzano correntemente, ma risultano anche iscritti ad almeno uno di essi, in proporzioni che sfiorano il 90% nella coorte dei minori o lo superano nel caso dei giovani-adulti; più basse, ma comunque prossime all’80%, sono le percentuali di iscrizione ad almeno un social per i giovani in formazione. Quanto alla popolazione adulta, solo il 58,4% risulta registrato ad almeno un social”.
Il Rapporto analizza i social più diffusi, Facebook, Instagram (Facebook), Twitter, Google+ (oramai chiuso) Pinterest, Linkedin e indica come attività primaria su tali siti sia appunto la socializzazione che si declina in diverse attività.
[…] Originariamente i social hanno avuto un ruolo marginale come canale informativo. “Tuttavia, negli ultimi anni, essi hanno consentito la registrazione non soltanto ad utenti “singoli”, ma anche a siti web, profili e pagine di pubblico dominio, fanpage, ecc. fornendo così la possibilità di collegare prodotti esterni al social stesso. Tra tutte queste possibilità di registrazione, quella di collegare il sito web di testate giornalistiche ad un account social, ha aperto i social al mondo dell’informazione. Infatti, praticamente qualunque versione online di un giornale è collegata a un account su un social (spesso anche più di uno) che condivide – in tempo reale con la pubblicazione sul website – un contenuto sul social network che riporta, in forma testuale o di link, la stessa notizia pubblicata dal sito web. Gli account social delle testate giornalistiche possono anche produrre contenuti destinati unicamente agli utenti del social: è il caso, ad esempio, di video, foto oppure di elementi dove si richiede un diretto feedback da parte degli utenti come, ad esempio, le reaction su Facebook e il like di Instagram o di Twitter. Tuttavia, oltre alle fonti informative, tramite i social hanno fatto ingresso nell’ecosistema dell’informazione anche fonti estranee al classico circuito delle notizie come, ad esempio, utenti comuni, pagine/account di informazione non professionali, pagine/account satirici, aprendo così la strada a un nuovo contesto disintermediato, in cui la piattaforma sociale si configura da unico intermediario tra gli utenti e una pluralità di fonti (di varia qualità) di notizie”.
Conclusioni. “Le argomentazioni proposte ai capitoli precedenti e i dati da ultimo presentati portano ad interpretare secondo un nuovo paradigma il dato sulla minore informazione (specie se tradizionale) tra le coorti giovani della popolazione, e sulla relativa dipendenza da un solo mezzo, internet (v. Capitolo 2, Figura 8 e Figura 9).
La popolazione giovanile che non si informa non lo fa per disinteresse. Al contrario, i giovani si nutrono di informazione e in Italia, rispetto agli altri paesi europei, è ancora elevata la penetrazione dei media tradizionali (Tv in particolare, cfr. Figura 4); tuttavia, ai mezzi tradizionali, viene preferita la rete quale luogo di soddisfacimento delle curiosità informative, essendo l’attuale proposta dei mezzi tradizionali inadeguata alle esigenze e ai bisogni dei più giovani.
Informazione e gratificazione. Tali evidenze sono in linea con l’approccio uses and gratifications che postula come gli individui, in presenza di un bisogno, nella fattispecie cognitivo – quale quello di essere informato su ciò che accade – si rivolgano al mezzo o prodotto ritenuto più adatto a soddisfarlo. In rete i giovani trovano quei prodotti e servizi in cui si riconoscono e si orientano scegliendo i nuovi format delle notizie online che offrono la possibilità di personalizzare i contenuti. Siti web e soprattutto social sono caratterizzati da un tipo di informazione non articolata in strutture, di contenuto oltre che di forma, tipiche di età più mature. I giovani possono creare, modificare, selezionare contenuti, realizzare forme nuove di engagement e creare un proprio universo informativo/ comunicativo. Internet stimola nuove forme di gratificazione, legate anche bisogni di natura tecnologica, sconosciuti fino a pochi anni fa.
Considerazioni conclusive. “L’uso dell’informazione online, quindi, gratifica i giovani, soddisfa i loro molteplici bisogni e alimenta quel senso di appagamento e felicità. Tali riflessioni aprono la strada a due ordini di considerazione.
Da un lato, appare sempre più opportuno aggiornare l’attuale offerta informativa tradizionale, specie se di servizio pubblico, anche alle esigenze dei più giovani.
Dall’altro lato, stante l’attuale dipendenza dei giovani dalla rete, occorre prevedere forme di tutela (ad esempio, di sviluppo di una visione critica e di miglioramento della digital e media literacy) senza le quali, per la maggiore vulnerabilità legata al ciclo di vita, i giovani sono più facilmente preda di fenomeni di disinformazione o di isolamento (v. Figura 11, Capitolo 2), piuttosto che beneficiare di un ampliamento degli spazi conoscitivi e cognitivi”.