Pubblicata la delibera, l’interesse ai fini della responsabilizzazione dell’hosting provider. Questa Associazione ha spesso segnalato che la disciplina della pubblicità di giochi e scommesse presentava una enorme disparità di trattamento tra le emittenti radiotelevisive, obbligate ad una rigida e onerosa ottemperanza al divieto, e le grandi piattaforme, che subivano vincoli molto meno stringenti.
Va registrato ora un intervento dell’AGCOM, anticipato da un comunicato dell’Autorità, proprio in tema di pubblicità giochi on-line, assai severo nei confronti del principale gigante del web, ossia Google. L’Autorità ha comminato una sanzione amministrativa pecuniaria (100.000 euro) nei confronti della società Google Ireland Limited per la violazione della normativa sul divieto di pubblicità relativa a giochi o scommesse con vincite di denaro, nonché al gioco d’azzardo di cui al c.d. “decreto dignità”.
L’Autorità ha rilevato che proprio sul motore di ricerca di Google, a seguito di ricerca a testo libero con la stringa “casino online”, compariva un annuncio relativo ad un sito di gioco, e ha pertanto iniziato un’istruttoria.
Google, come in altri casi, ha affermato di non essere responsabile per il contenuto degli annunci, ma di essere un mero hosting provider ai sensi dell’art. 16 del d. lgs. n. 70/2003, e di non avere un obbligo di sorveglianza sulle informazioni ospitate o un obbligo generale di ricerca attiva di fatti o circostanze relativi ad attività illecite. Inoltre, nel caso di specie, l’inserzionista avrebbe aggirato i controlli di Google con l’uso di una particolare pratica, detta “cloacking” (tecnica informatica mediante la quale, grazie a particolari script, è possibile mostrare ai motori di ricerca un contenuto differente da quello che realmente il sito internet propone agli utenti, consentendo così al sito stesso di ottenere migliori posizionamenti all’interno della pagina dei risultati del motore di ricerca, SERP nel’acronimo inglese, ndr).
Tali deduzioni non hanno evitato a Google la sanzione. Con interessante motivazione, l’AGCOM ha stabilito, nel provvedimento 541/20/CONS, che il servizio Google Ads (insito nel servizio di ricerca) non consiste nel semplice “immagazzinamento” del contenuto pubblicitario creato dall’utente, ma prevede che lo stesso sia elaborato dal sistema (previa verifica) al fine di garantirne l’efficace posizionamento rispetto alle parole di ricerca inserite dagli utenti e alla profilazione della loro navigazione. L’inserzionista, osserva l’Autorità, non paga/remunera il servizio di hosting erogato da Google, bensì solo il servizio di gestione e visualizzazione del messaggio pubblicitario sui siti di destinazione, peraltro in modo proporzionale rispetto alle effettive visualizzazioni del messaggio pubblicitario stesso. Un tale servizio non pare qualificabile come servizio di hosting, atteso che l’elemento caratterizzante la prestazione non consiste “nell’ospitare” il messaggio pubblicitario, ma nel permetterne la diffusione attraverso diversi siti internet destinatari del messaggio stesso.
Inoltre, il sistema di verifica posto in essere da Google si sarebbe incentrato su parametri errati, non avendo verificato la natura del soggetto inserzionista (prevedendo il Decreto dignità una deroga al divieto solo per la pubblicità realizzata da enti statali di lotterie a estrazione differita) e l’utilizzo di parole che inequivocabilmente ricadono nell’ambito del divieto in parola avendo usato l’inserzionista come parola chiave l’espressione “casinò online”.
Il provvedimento è di grande importanza per due ragioni.
Da una parte contribuisce a demolire l’idea per la quale i grandi OTT avrebbero una posizione neutrale rispetto ai contenuti veicolati. Non a caso, ferve a livello europeo il dibattito sulla revisione del concetto di “hosting provider non responsabile”, spesso richiamato per separare la responsabilità delle piattaforme da quella di chi immette i contenuti in rete (cosa che, ovviamente, il sistema radiotelevisivo non può fare).
Dall’altra, aiuta a specificare il “best effort” che le piattaforme devono mettere in campo per evitare, alla base, che i contenuti illegali emergano in rete. Dalle indicazioni AGCOM sembra risultare che gli strumenti per implementare tale “effort” debbano essere in grado di identificare almeno le caratteristiche essenziali del soggetto che immette il contenuto, e valutare – tramite le parole chiave – se esso è illegale.
In quest’ottica, sembra che l’Autorità abbia fatto un passo avanti verso un level playing field tra operatori radiotelevisivi e OTT. Occorrerà tuttavia un maggiore sforzo in sede europea per portare avanti tale istanza.