Nel convegno Agcom “RESTATE CON NOI – Storie, identità e valori nella TV che cambia”, il titolo “restate con noi” è diventato una call to action in cui si sono rispecchiati, pur nelle differenze, tutti gli interlocutori. Sono molte infatti le convergenze sulla necessità di aggiornare le regole e predisporre incentivi per un settore cruciale per la “social equity” nazionale ed europea, numerosi e vari i suggerimenti ai legislatori.
Ministero della Cultura, UE, Agcom: necessario aggiornare la direttiva SMAV. Pur apprezzando l’importanza della direttiva SMAV, fin dalle origini della Tv senza frontiere, nel promuovere la creazione di una industria dell’audiovisivo europea e nazionale, tutti gli interlocutori sembrano convenire che sono necessari degli aggiornamenti al nuovo contesto competitivo, tecnologico e dei consumi. Nicola Borrelli, Direttore Generale Cinema e Audiovisivo del Ministero della Cultura parla di necessità di semplificazione delle quote, tema che è stato ripreso in molti interventi degli operatori, che lamentano la complessità, onerosità e poca chiarezza soprattutto nella trasposizione italiana della direttiva: il sistema conta ben 13 categorie fra quote e sotto-quote di investimento, e proporziona questi ultimi, ben oltre il dettato della norma sul fatturato, incurante dei margini delle attività – criticità questa sempre sollevata da CRTV in tutte le interlocuzioni istituzionali. Borelli individua anche un obiettivo non raggiunto nella parte finanziaria della normativa che non facilita la strutturazione delle imprese del settore alla ricerca di economie di scala, ma viceversa le acquisizioni dei produttori di punta nazionali da parte di società estere. In generale, cnclude Borrelli, si è creato un ingessamento del sistema che non ha reso reattivi alle realtà che vengono da fuori.
Anna Herold, Capo Unità dei Servizi Media Audiovisivi della Commissione Europea, indica come nel nuovo mercato, che vede gli streamer competere con i broadcaster, si ripetano dinamiche che la direttiva intendeva superare, con una quota ampiamente maggioritaria di prodotto (e operatori) extra UE, e in particolare USA: nel segmento SVOD, quello a più alto tasso di crescita del settore audiovisivo alla fine del 2021 i tre operatori top del segmento pesano per il 71% dei ricavi, e 189 milioni di abbonamenti (di cui 133 in UE): Netflix (36%), Amazon Prime (23%) and Disney+ (12%) sono tutti statunitensi (European Outlook, si veda articolo dedicato CRTV). La Herold sottolinea inoltre le molte differenze nelle trasposizioni nazionali della direttiva, con meno della metà degli Stati Membri per es. che hanno sfruttato l’opportunità di estendere l’obbligo di investire nei contenuti dei paesi di destinazione per i nuovi operatori (art. 13.2). Sulle diverse trasposizioni nazionali della direttiva SMAV, Susanne Nikoltchev, Direttore Esecutivo dell’Osservatorio Audiovisivo Europeo, cita il database comparato approntato della struttura di ricerca del Consiglio d’Europa.
Laura Aria, Commissario Agcom parla dell’importanza della direttiva Televisione Senza Frontiere (TSF) , poi SMAV, per i principi introdotti, quali eccezione culturale, valore della diversità, diritti residuali, produzione indipendente, nel momento in cui in Europa si sviluppava la multicanalità. Obiettivo della norma era promuovere un’industria dell’audiovisivo europea, con prodotti e operatori continentali forti. In realtà c’è chi dice abbia creato dei protezionismi nazionali “anche se il risultato è maggiore della somma delle singole componenti”, commenta Aria, che aggiunge che di certo si è evidenziata una aporia che è divenuta molto evidente con l’avvento dei cosiddetti streamer, sostanzialmente extra UE, che hanno replicato i vecchi rapporti di forza nel mercato dei contenuti. Fra le criticità Aria cita anche la complessità, che vede concorrere tre legislatori (europeo , nazionale e regolatore); e il fatto che la cosiddetta Legge cinema (e AV) manchi ancora di alcuni decreti attuativi.
SMAV ma non solo. La Herold accenna anche al Media Freedom Act, su cui si sta lavorando in questi giorni, e le norme in esso previste per aumentare la resilienza dei media: protezione aggiuntiva dei media contro la rimozione contenuti online (disposizioni già previste nel DSA ma anche in chiave diversa per media); diritto alla personalizzazione dell’offerta mediale contro la “content prioritization”; trasparenza dei sistemi di rilevazione dell’audience.
Del Brocco, Rai: canone integro alla Rai per finanziare l’audiovisivo. Parte con delle considerazioni di sistema, fra cui l’impatto disruptive attuale degli streamer sul mercato – inflazione nella produzione dei contenuti , eliminazione della sala come prima finestra fondamentale del cinema – e, in prospettiva – il numero di utenti globali delle piattaforme, appare ormai plafonati sui 250-300 milioni, con impatti sulle risorse, ma anche sulle capitalizzazioni. Quindi Paolo Del Brocco, Amministratore Delegato Rai Cinema, scende nello specifico: ”L’investimento della Rai in contenuti nell’ultimo quadriennio è superiore ai 2 miliardi, senza contare i benefici dell’indotto. La riduzione delle risorse da canone rende difficile competere come servizio pubblico. Attualmente di 90 euro annuali (uno dei canoni più bassi in Europa) – solo 76 euro circa arrivano alla Rai. Se tale valore fosse indirizzato alla Rai con obbligo di scopo come ad es. investimenti incrementali per i produttori indipendenti italiani, la Rai potrebbe essere utilizzata come strumento di politica economica per l’audiovisivo, aumentando i prodotti adatti anche a una arena globale”.
Nieri, Mediaset: sostegno statale agli editori TV, campioni di social equity. “Mai come in questo momento c’è un accordo con Rai e le altre emittenti sull’anacronismo dei vincoli e gli obblighi a cui siamo sottoposti a fronte dei nostri risultati e le assunzioni di responsabilità come editori.” Ha esordito Gina Nieri, Consigliere di Amministrazione Mediaset. Dopo aver snocciolato una serie di cifre, fra cui 20 miliardi di investimento in contenuti originali in ultimi 10 anni, la Nieri afferma che Mediaset ama fare l’editore TV in maniera responsabile (citando per esempio il bilancio sostenibilità che declina tale responsabilità anche in risorse umane, privacy, diversità, proprietà intellettuale, pubblicità responsabile…), e che vuole continuare a farlo. Ma siamo in una “curva strettissima”, aggiunge, “con una competizione che continua ad esser sregolata, e molte nuove norme complesse (regolamenti UE) e comunque tardive (“i buoi sono già scappati”). L’unica via, secondo la Nieri è “un sostegno pubblico all’audiovisivo, sostegno che in Italia è il più basso in Europa (se si esclude la Spagna). Canone, tax credit, c’è bisogno di sostegno economico dallo Stato e dall’Europa, un sostegno che va ripartito fra tutti gli operatori del sistema per contenuti identitari e informazione plurale”.
Dolores, Discovery: incentivi all’internazionalizzazione del prodotto. In un momento di apertura del mercato nel 2010 Discovery ha cambiato modello di business investendo sul free, e abbandonando i marchi Discovery, e favore del prodotto AV locale che potesse parlare al target di destinazione non proponendo un modello editoriale importato. I numeri parlano in media di oltre 800 ore di prodotto originale italiano indipendente, 50 format sviluppati con produttori italiani e – è l’attualità di questi giorni – investimento sul talent locale”. Così esordisce Marcello Dolores, Vice President Corporate Legal and Regulatory AffairsFor Southern Europe, Discovery, che aggiunge: “questo è successo per il sistema quote? No, per il modello di business, l’identità di canale creata con nuovi linguaggi, l’investimento in un brand editoriale. La normativa attuale prevede obblighi complessi da spiegare addirittura all’interno di una azienda sovranazionale e onerosi da ottemperare. Se si vuole puntare all’internazionalizzazione del prodotto italiano ed europeo, come elemento di rilancio e crescita, si prevedano incentivi per gli operatori che hanno capacità di internazionalizzazione del prodotto con scontistiche, deroghe, premialità”.
Giacomelli: Agcom solleciterà il legislatore. Antonello Giacomelli, Commissario Agcom, tira le fila dei temi relativi alla normativa: “Franceschini ha cercato di rispondere ad alcune esigenze quali la sottocapitalizzazione delle aziende con un prodotto poco esportabile, sI può parlare di un prima e dopo, ma è necessario fare un primo bilancio e constatare il cambiamento di contesto”. Il regolatore rileva problemi irrisolti, emersi, o letture diverse delle norme. In tema di internazionalizzazione del prodotto, l’affermazione non è stata proporzionale al livello qualitativo italiano, ad es, rispetto alla Spagna: “si è parlato dell’asset della lingua, ma come si spiega il successo in termini di export di prodotti come Montalbano o Gomorra, localmente connotati? Riguardo alle quote, ci si ispiri agli esempi esteri che hanno funzionato – es. la flessibilità della Spagna – e si riconosca che quote e tax credit come configurati oggi hanno stimolato una produzione forse eccessiva e a scapito della qualità. Scala e internazionalizzazione delle imprese italiane: “Oggi in Italia è sempre più difficile individuare produttori totalmente indipendenti: i principali sono controllati da grandi gruppi internazionali con l’effetto paradossale che gli incentivi fiscali finiscono per premiare sempre più spesso imprese che non sono più italiane”. Si è parlato delle molte acquisizioni, una sorte di dote data agli operatori stranieri, non si danno esempi di segno opposto. In definitiva, “non esiste un sistema italiano che affianchi la crescita di un settore ritenuto strategico. Ma non tocca ad Agcom delineare le politiche culturali. Il regolatore deve esercitare la sola prerogativa che ha: sollecitare Governo e Parlamento per una riforma che aggiorni al contesto e agli obiettivi di oggi”.