I dati del Centro Studi Confindustria per Anica. 173.000 i posti di lavoro generati direttamente o indirettamente dall’industria audiovisiva e broadcasting italiana, di cui 50.000 addetti diretti (pari a 61.000 posti di lavoro, ossia contratti di lavoro dipendenti o assimilabili) e un’occupazione più giovane e più femminile del totale industria; 8.500 imprese operanti, di cui circa 200 con più di 50 addetti; 4,5% il contributo del settore al PIL nazionale, valore cresciuto in termini percentuali durante la crisi economica, e oggi, post recessione, in ripresa più lenta rispetto al totale industria. Questi alcuni dei dati del settore audiovisivo e broadcasting elaborati dal Centro Studi Confindustria per Anica e presentati a Roma a un pubblico qualificato di politici, fra cui il Presidente del Consiglio Prof. Giuseppe Conte, Lucia Borgonzoni, sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali, Silvia Costa Europarlamentare Europea. Fra gli Associati CRTV si segnala l’intervento del Presidente di Mediaset Fedele Confalonieri e l’Amministratore Delegato di La 7 Marco Ghigliani.
Pur nella difficoltà di mappare un’industria leggera e immateriale e pertanto atipica per i parametri di analisi tradizionali, l’analisi identifica alcuni dati innovativi del settore unificato audiovisivo e broadcasting (codici Ateco J59 e J60 Istat/Eurostat) fra cui in particolare le sue ricadute positive su molti altri ambiti industriali apparentemente lontani. Una centralità a valle (filiere connesse) ma anche a monte (fornitori), molto capillare e diversificata. L’analisi si spinge anche a calcolare un moltiplicatore, ogni euro di domanda aggiuntiva di servizi audiovisivi in Italia genera quasi altrettanto (0,98) su settori che spaziano dai servizi di rete e i servizi ad alto contenuto di conoscenza, all’agricoltura la sanità o la manifattura, per citarne alcuni. Secondo la mappatura effettuata inoltre si tratta di settore che inaspettatamente permane nella top ten mondiale (nono) per valore aggiunto generato sul PIL e terzo in Europa per produttività (valore aggiunto per addetto), ma anche 22esimo fra i mercati audiovisivi più importanti e ben inferiore ai mercati comparabili europei per valori pro-capite: valore quest’ultimo negativo, ma indice di uno spazio potenziale di crescita che deve essere sfruttato. Altro dato interessante, questo una conferma, la forte componente talent (15% l’impatto dei settori monitorati nell’industria artistica e creativa). I dati in definitiva indicano chiaramente, come sintetizzato in chiusura della presentazione da Francesca Medolago Albani dell’Anica che il settore audiovisivo e broadcasting è un potente moltiplicatore per l’industria italiana nel suo insieme, un settore che ha potenziale per crescere e continuare a creare valore in Italia. È questo forse il punto di attenzione più importante per il legislatore e le istituzioni segnalato dai numeri: il potenziale di crescita potrebbe essere obiettivo di conquista per i grossi movimenti di fusioni e acquisizioni che si stanno verificando nel settore a livello globale – “215 miliardi di dollari solo negli ultimi 9 mesi“. Il patrimonio creato dal settore, e che genera indotto e esternalità economiche molto significative per l’intera industria nazionale deve rimanere e sviluppari e continuare a creare valore in Italia. Anche perché il valore industriale (economico e occupazionale) è solo una parte del valore espresso dal settore che è anche culturale, identitario, rappresentativo del Paese: questo è stato l’argomento principale degli interventi del pomeriggio di esponenti di diversi comparti dell’industria.
Confalonieri: i dati dell’impegno del gruppo Mediaset. La più importante library di diritti televisivi italiana (oltre 8.700 titoli); un investimento sostenuto in produzioni indipendenti europee – il cumulato negli anni 2010 -2018 è pari a 2 miliardi con un forte incremento negli ultimi tre anni e nel solo 2018 è stato di 256 milioni di euro; 261 milioni investiti in cinema italiano indipendente nel quinquennio 2014 – 2018 per la quasi totalità in film recenti: questi i numeri del Gruppo Mediaset in Italia richiamati dal Presidente del Gruppo Mediast Fedele Confalonieri. Il presidente ha ricordato che il Gruppo ha sviluppato un modello televisivo integrato nella produzione e nella distribuzione di film e di fiction televisive (Taoduefilm e Medusa) per offrire contenuti su tutte le piattaforme e con tutte le modalità di consumo, privilegiando la diffusione via etere terrestre “la più largamente diffusa, la più accessibile e a costo zero per gli utenti”.
“In questi anni di crisi è stata garantita una sostanziale stabilità dei volumi di investimento da parte della televisione alla produzione indipendente, confermando che l’investimento in produzione è strategico per la sua attività” ha aggiunto Confalonieri “un’attività che dovrebbe essere sostenuta dallo Stato in modo organico, consentendo anche ai soggetti non indipendenti di investire meglio e di più, ad es. con misure premiali e incentivazioni” che potrebbero rafforzare l’intero sistema produttivo italiano. Il Presidente ha citato il recente accordo fra le imprese televisive e il mondo della produzione indipendente, sollecitati e accompagnati dai ministeri competenti, per introdurre alcune modifiche al decreto Franceschini: “un primo passo significativo di un rapporto che deve proseguire abbandonando la logica degli steccati e delle imposizioni al fine di favorire lo sviluppo in un’ottica industriale e competitiva, partendo proprio da quegli asset specifici dell’audiovisivo italiano, identità culturale, creatività, location e professionalità, evidenziati nella ricerca presentata questa mattina”.
Ghigliani: certezza e equità delle regole per investire e competere. Diverso il tenore vdel l’intervento di Marco Ghigliani, Amministratore Delegato di La 7 e Vicepresidente di CRTV. La 7 ha detto Ghigliani è l’unica emittente generalista in crescita, che è riuscita a caratterizzarsi nel contesto italiano con una propria identità distintiva che si fonda sulle produzioni originali (oltre il 70%) e interne (80%). Ghigliani ha ricordato come l’emittente televisiva commerciale viva sulla pubblicità e come tale risorsa, in leggera ripresa dopo i picchi negativi della crisi economica non è più tornata ai livelli precedenti, ad opera della della pubblicità online secondo mezzo per investimenti attratti, circa il 30% delle risorse, il cui valore per oltre il 70% va a imprese non italiane, le multinazionali del web. “Il tema di un sistema equo per garantire competizione e investimenti è centrale per l’emittenza televisiva italiana che peraltro si accinge in questi mesi ad una nuova migrazione tecnologica (il refarming della banda 700 per fare spazio al 5G), una migrazione complessa nella quale dovranno essere tutelati gli interessi e gli investimenti delle imprese e degli utenti”. E ha aggiunto “dobbiamo lavorare per un sistema di regole più bilanciato; le regole che gravano sul settore TV (pubblicità, minori con le fasce protette, par condicio) sono regole anacronistiche, pensate per il contesto analogico. Sono soprattutto regole che non permettono al settore di creare marginalità positive, investire, crescere e competere nel contesto internazionale”. Ghigliani ha citato anche l’inasprimento del regime delle quote di programmazione e investimento previste dal decreto Franceschini che devono essere riviste in un’ottica di ricerca di un equilibrio proficuo per tutti. In qualità di Vicepresidente di CRTV ha citato i dati di occupazione (circa 30.000 occupati diretti, 90.000 indiretti) generati dal sistema radio televisivo (Studio Economico CRTV) e l’attività che l’Associazione sta svolgendo per promuovere un sistema più equo e pro-competitivo a beneficio di tutto il settore audiovisivo.
Rapporto ANICA Cinema e Audiovisivo
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