La genesi di una legge innovativa per definizioni e strumenti approntati, il braccio di ferro fra autorità e big tech nel processo di approvazione e i primi accordi che ne sono derivati per raccontare un precedente importante per la regolazione della Rete. Si chiama News Media Bargaining Code (o meglio News Media and Digital Platforms Mandatory Bargaining Code, Act 21/2021), la legge approvata dal Parlamento australiano alla fine del mese scorso volta ad ottenere che le grandi piattaforme tecnologiche che operano in Australia paghino gli editori di news locali per i contenuti da loro resi disponibili. Da tali norme, che emendano la Legge sulla concorrenza e i consumatori del 2010, discende l’accordo definito storico siglato fra Facebook e Newscorp negli ultimi giorni. I termini finanziari non sono stati divulgati, ma l’accordo, pluriennale, offre a Facebook l’accesso alle principali notizie di proprietà di News Corp Australia, che controlla circa il 70% dei giornali con le testate più diffuse nel Paese, tra cui The Australian, The Daily Telegraph e The Herald Sun, oltre alla rete televisiva Sky News Australia, la più condivisa sul social. L’intesa segue quanto stipulato da Google sempre con Newscorp e altri editori locali tra cui Seven West Media, Nine Entertainment Co, accordi forfettari per il proprio servizio News Showcase a partire da febbraio 2021 in previsione dell’emanazione del codice, per evitare di entrare nelle fasi di arbitrato con l’autorità per la Concorrenza australiana previste dalla norma.
La genesi della legge e il braccio di ferro governo-OTT. La legge è figlia di una indagine richiesta dal governo australiano alla Commissione per la Concorrenza e i Consumatori (ACCC) nel 2017, conclusasi nell’estate 2019 con un corposo rapporto, di estremo interesse per l’analisi delle posizioni delle big tech nel mercato locale. È tata proprio la ACCC ad iniziare a redigere il primo draft: nell’aprile 2020, il governo Morrison le ha richiesto di sviluppare un codice obbligatorio “per affrontare gli squilibri del potere contrattuale tra piattaforme digitali e società di media”. La bozza del Codice di contrattazione sui media è stata pubblicata dall’ACCC nel luglio 2020 e le parti interessate sono state invitate a presentare osservazioni, incontrando l’accesa opposizione delle maggiori piattaforme, Google a Facebook che hanno innescato un braccio di ferro con le autorità. Nell’agosto 2020, gli utenti di Google Australia hanno ricevuto una lettera aperta di protesta contro la legge, che l’ACCC ha definito fuorviante. La lettera affermava che Google rispettava già programmi di rimborso per gli editori. Durante la fase di presentazione in Parlamento, il direttore di Google Australia affermava che il disegno di legge era “insostenibile” e che la società avrebbe interrotto l’accesso al suo motore di ricerca in Australia se il codice fosse stato emanato senza modifiche. A fine agosto, l’ACCC ha chiuso il periodo di consultazione sulla proposta. Il codice è stato convertito in disegno di legge e inviato al Parlamento a dicembre. A disegno di legge non ancora approvato, Google ha iniziato a negoziare compensi ai maggiori editori di notizie locali. Nell’agosto 2020 anche Facebook aveva preannunciato reazioni alla proposta di legge. Dopo che la commissione del Senato ha approvato la norma senza introdurre alcun emendamento, il 17 febbraio 2021 Facebook blocca la visualizzazione/condivisione di tutte le notizie degli utenti in Australia, oltre alle pagine di alcuni servizi governativi, comunitari, sindacali, di beneficenza, politici e di emergenza, successivamente ripristinati – ad es. il meteo governativo è stato uno dei servizi inizialmente interessati – affermando che questo era il risultato dell’ampia definizione di contenuto di informazione del disegno di legge. Il governo australiano ha fortemente criticato la mossa, “che confermava l’immenso potere di mercato di questi giganti digitali”. Esponenti politici hanno accusato il social per l’interruzione di servizi essenziali, hanno minacciato la cancellazione delle campagne pubblicitarie governative sulla piattaforma, e paventato che si sarebbe diffusa la disinformazione online. Pochi giorni dopo l’introduzione di ulteriori modifiche alla legge il 22 febbraio Facebook ha dichiarato di aver raggiunto un accordo con il governo per restituire agli utenti australiani le notizie. È della fine di febbraio, il rilascio di un codice di settore per affrontare la diffusione della disinformazione da parte delle società tecnologiche, tra cui Facebook e Google sui loro servizi in Australia.
L’interesse della legge. Il disegno di legge mira ad affrontare lo squilibrio di potere contrattuale che esiste tra le piattaforme digitali e le imprese informative australiane e ottenere un’equa remunerazione dei contenuti generati dalle stesse, non a caso rientra nell’ambito delle normativa a tutela della concorrenza e del consumatore, che va ad emendare. Dai primi riscontri emersi sul codice sono molti gli aspetti di interesse fra cui quelli definitori: per es. la nozione di notizia nella legge è ampia, poiché include “contenuto che riporta, indaga o spiega … problemi attuali o eventi di importanza pubblica per gli australiani a livello locale, regionale o nazionale”; quella di “messa a disposizione del contenuto” la sua riproduzione, inserimento o collegamento dal servizio della piattaforma, anche di estratti e la previsione dell’interazione con i contenuti informativi. Di estremo interesse appaiono anche i requisiti minimi cui devono sottostare le piattaforme, relativi ad esempio alla condivisione dei dati generati, o alla comunicazione di modifiche dell’algoritmo con effetti sui contenuti informativi. Nella sua formulazione finale, la legge consente maggiori margini ad aziende come Facebook e Google, che potranno negoziare direttamente con gli editori, oltre alla possibilità che vengano esentate dal pagamento dei contenuti, se il governo riconoscerà il loro contributo all’industria editoriale australiana.
Ma la vera novità della legge australiana è quella di obbligare le piattaforme a stabilire un rapporto contrattuale con gli editori, contratto del quale il governo si fa garante ed arbitro, a tutela, si immagina, anche degli editori minori.