Gli Operatori di Rete DTT associati in CRTV sulla proposta della Commissione UE
Rivedere il termine ultimo per il rilascio della banda a 700 MHz ai servizi mobili a larga banda al 2022; conformarsi alle previsioni del Rapporto Lamy (e dei gruppi internazionali di gestione dello spettro es. ITU WRC-15) e garantire alla piattaforma terrestre un orizzonte certo fino al 2030 per la banda sub-700Mhz con una rivalutazione tecnologica e di mercato al 2025. È quanto richiesto dagli Operatori di Rete in Tecnica Digitale Terrestre associati in Confindustria Radio Televisioni* alla IX Commissione Trasporti, Poste e telecomunicazioni della Camera dei Deputati nell’ambito dell’esame dell’atto comunitario COM (2016) 43 definitivo relativo all’uso della banda di frequenza 470-790 MHz nell’Unione europea, sul quale verrà espresso a giorni un parere motivato di conformità e di merito [NDR: v. Radio Tv News n. 82 del 11/3/2016 p. 3]. Nella sua attuale formulazione la proposta di Decisione della Commissione europea non prende infatti in considerazione le specificità che la TV digitale terrestre ha in alcuni Paesi europei come l’Italia. E non tiene conto del ruolo e dell’importanza della TV digitale terrestre, ad oggi il mezzo più efficiente, più diffuso e più capillare per la fruizione in chiaro dei contenuti audiovisivi (raggiunge oltre 250 milioni di cittadini nella UE, veicola il servizio pubblico TV).
*In Confindustria Radio Televisioni sono associati in qualità di assegnatari dei diritti d’uso di frequenze televisive nella banda di frequenze 470-790 MHz la RAI-Radio Televisione Italiana S.p.a., Elettronica Industriale S.p.a. del Gruppo Mediaset, Persidera S.p.a. del Gruppo Telecom Italia, Prima TV S.p.a., Cairo Network S.r.l. del Gruppo Cairo Communications e la gran parte dei principali operatori locali attraverso l’Associazione TV Locali (aderente a CRTV). Secondo CRTV è necessario che tali necessità siano rappresentate con fermezza dall’Italia al Consiglio e al Parlamento Europeo chiamati ad approvare la decisione. È necessario inoltre che sia avviato dal Ministero dello Sviluppo Economico e l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni un percorso di transizione condiviso con gli operatori e il confronto con i paesi confinanti (in particolare la Francia, avanti nel processo di transizione). È infatti indubbio che, anche seguendo le scadenze previste dal Rapporto Lamy e nei consessi internazionali (v. schema) i tempi sono strettissimi per una transizione che in Italia avrà alti costi economici e sociali.
E’ proprio il tema dei costi della transizione per i cittadini, per le imprese e, anche in termini di indennizzo, per i governi che la Commissione sembra sottovalutare. Come noto in Italia solo dal 1 gennaio 2017 non sarà più possibile vendere televisori solo con le vecchie codifiche MPEG2 o MPEG4. Ad oggi la diffusione della codifica HEVC è molto bassa; questo significa che non sarà possibile coprire la totalità dei ricevitori distribuiti nella popolazione (circa 48,5 milioni di apparecchi televisivi e ricevitori “stand- alone”) con il naturale processo di sostituzione prima del 2025. Anticipare i tempi senza un supporto alla diffusione di televisori capaci di ricevere con nuovi standard DVB-T2/HEVC, significherebbe provocare un nuovo “switch-off”. Sarebbe indispensabile un intervento economico pubblico per favorire l’introduzione delle nuove tecnologie, pena l’oscuramento del segnale televisivo in ampie fasce di popolazione. Il documento è stato integrato, a seguito di alcune richieste emerse durante l’audizione informale del 9/3/2106 presso la IX Commissione della Camera dei Deputati, da un “addendum” tecnico di approfondimento con stime puntuali sui sistemi di trasmissioni e codifica e le dotazioni tecniche delle famiglie necessari per effettuare una transizione “future proof”, di cui si riporta un estratto. (il documento è consultabile integralmente sul sito Internet di CRTV all’indirizzo: www.confindustriaradiotv.it/documentazione/testi).
I sistemi di trasmissione e di codifica utilizzati sulla piattaforma digitale terrestre
Il DVB-T è stato il primo standard definito nel 1997 dall’ETSI per la trasmissione televisiva digitale terrestre, adottato nella maggior parte dei Paese Europei, tra cui l’Italia, nel passaggio dalla TV analogica a quella digitale. Solo in alcuni Paesi, dove il processo di digitalizzazione è partito in ritardo, è stato adottato direttamente il DVB-T2, il sistema di modulazione terrestre di seconda generazione, (ratificato dall’ETSI nel 2008), in grado di fornire un aumento del bit rate di circa il 30% . Come sinteticamente rappresentato nella Figura 2, a distanza di 10 anni dalla pubblicazione dello standard MPEG-2, l’MPEG-4 ha ridotto del 50%, a parità di qualità, la banda necessaria per codificare un contenuto HD. Lo stesso guadagno si è avuto 10 anni dopo nel passaggio da MPEG-4 a HEVC. Se l’introduzione di HEVC nei prodotti/servizi commerciali è appena all’inizio, lo standard MPEG-4 è nel pieno della sua maturità mentre l’MPEG-2 può considerarsi ormai obsolescente (scarsa efficienza spettrale). Va notato che esistono 2 varianti o profili dello standard HEVC: Main e Main 10. Il profilo Main 10 garantisce un livello qualitativo superiore e la compatibilità con nuove prestazioni in fase di definizione (e.g. maggiore gamma cromatica, elevato contrasto). Un ricevitore Main 10 è in grado di decodificare anche un programma codificato Main, mentre un ricevitore Main non è in grado di decodificare un programma codificato Main 10.
Il contesto normativo
Per promuovere un uso efficiente delle risorse spettrali, la Legge 44/2012 ha introdotto in Italia misure volte a favorire l’introduzione della tecnologie DVB-T2 negli apparecchi televisivi e nei decoder per il digitale terrestre. La prima formulazione della Legge, prevedendo l’obbligo di introdurre il sintonizzatore DVB-T2 con codifiche solo MPEG-4 (con obbligo di introduzione al 1° gennaio 2015 sulla catena di distribuzione e al 1° luglio 2015 per la vendita al dettaglio), non poneva alcun problema ai costruttori di apparati riceventi. Dal 2013 infatti il tuner DVB-T2 con codec MPEG-4 è diventato una commodity presente nella maggior parte dei televisori integrati immessi sul mercato, senza aggravi di costo per i consumatori. Per garantire ai consumatori una rapida introduzione di apparecchi atti a ricevere servizi televisivi DVB-T2 con codifica evoluta HEVC, e soprattutto evitare la doppia migrazione (la prima al DVB-T2 MPEG4 e la seconda al DVB-T2 HEVC), con conseguente necessità di acquisto di nuovi ricevitori a distanza ravvicinata, il “Decreto Milleproroghe 2015”, poi convertito nella Legge 11/2015, ha posticipato di 18 mesi i termini per l’inserimento di un sintonizzatore DVB-T2 negli apparecchi televisivi e nei decoder, estendendo l’obbligatorietà delle codifiche a tutti i codec compreso HEVC. In particolare tale obbligo entrerà in vigore dal 1º luglio 2016 per le vendite dai produttori ai distributori al dettaglio, mentre dal 1º gennaio 2017 l’obbligo riguarderà la vendita al pubblico.
La composizione dei sistemi di ricezione a casa degli utenti e le incompatibilità
In Italia oggi si contano circa 48,5 milioni tra apparecchi televisivi con sintonizzatore digitale e ricevitori stand alone (STB- Set Top Box), secondo la composizione stimata nella Tabella 1, dove ogni sistema ricevente include anche tutti quelli che lo precedono. Il tasso di sostituzione oscilla tra 4 e 6 milioni di pezzi l’anno. Conseguentemente il periodo naturale di sostituzione del parco ricevitori complessivo (cioè senza azioni incentivanti sull’acquisto di nuovi ricevitori) è di circa 8-10 anni. Nella Tabella 2 vengono rappresentate le incompatibilità.
I dati evidenziati confermano la necessità di prevedere misure di sostegno pubblico per agevolare la fase di transizione.