È stato appena pubblicato il rapporto The lobby network – Big Tech’s web of influence in the EU di CEO (Corporate European Observatory), che, come suggerisce il titolo, fa una panoramica ricca di dati sullo sforzo di lobbying delle big tech sulla UE anche alla luce della nuova normativa che sta per entrare in vigore. Qualche dato:
- quanto: 612 aziende, gruppi e associazioni di imprese fanno pressioni sulla policy dell’economia digitale dell’UE, con oltre 97 milioni di euro all’anno;
- leadership di investimenti: la tecnologia è il primo settore per investimenti in lobbying presso la UE, sorpassando farmaceutico, combustibili fossili, finanza e prodotti chimici;
- concentrazione degli attori: all’interno del settore tech dieci aziende sono responsabili di quasi un terzo della spesa totale delle lobby tecnologiche: Vodafone, Qualcomm, Intel, IBM, Amazon, Huawei, Apple, Microsoft, Facebook e Google con oltre 32 milioni di euro;
- provenienza: di questi gruppi il 20% ha sede negli Stati Uniti, ma il numero è probabilmente ancora più alto, meno dell’1% in Cina o Hong Kong;
- tech e big tech: le associazioni imprenditoriali che fanno lobby per conto delle sole Big Tech hanno un budget di lobbying che supera di gran lunga quello del 75% più povero delle aziende del settore digitale.
Il rapporto analizza lo sforzo di lobbying delle big tech dal punto di visto dell’accesso privilegiato presso i responsabili della UE e analizza la recente gestazione del pacchetto sul mercato servizi digitali (271 riunioni, il 75% delle quali con lobbisti del settore, con Google e Facebook in testa).
Istituzioni ma non solo. La battaglia delle lobby tech si è spostata dalla Commissioneal Parlamento europeo e al Consiglio; l’impronta lobbistica di Big Tech emerge in alcune capitali dell’est come Tallinn, in Estonia, indica il rapporto.
La nuova narrazione lobbystica delle Big Tech. Dopo gli scandali legati ad es. alla violazione della privacy, alle pratiche anti-competitive o di elusione fiscale, secondo il rapporto la narrazione lobbistica delle big tech si basa sul supporto pubblico a nuove regole “morbide” e alla configurazione delle nuove norme proposte per la regolamentazione del web come una minaccia per le PMI e i consumatori, allo sviluppo in termini geopolitici, con una iperegolazione del web la UE resterebbe indietro rispetto agli Stati Uniti e, soprattutto, alla Cina.
Lobbying indiretto e opacità. La lobby delle Big Tech si basa anche sul finanziamento di un’ampia rete di terze parti, inclusi think tank, PMI, associazioni di startup e consulenti legali ed economici per trasmettere i propri messaggi. Ci sono 14 gruppi di riflessione e ONG con stretti legami con le aziende Big Tech, indica il rapporto. Questi collegamenti spesso non vengono divulgati, offuscando potenziali pregiudizi e conflitti di interesse. L’etica e la pratica di queste organizzazioni politiche varia, ma alcune sembrano aver svolto un ruolo particolarmente attivo nelle discussioni sul pacchetto di servizi digitali, ospitando dibattiti esclusivi o distorti per conto dei loro finanziatori o pubblicando rapporti allarmistici. Le Big Tech hanno dichiarato il loro finanziamento delle think tank solo dopo essere state messe sotto pressione.
La ricerca è molto critica sul lobbying, che è solo un aspetto del peso che le big tech hanno sul mercato europeo. Di certo il rapporto offre spunti di riflessione importanti nel momento in cui si costruiscono le regole per ristabilire level palying field con le aziende continentali e il rispetto dei principi fondativi della legalità e della democrazia europea, in tema di informazione, tutela della privacy e del copyright anche online.