Siddi: non esiste riconoscimento senza remunerazione e controllo. In questi giorni il tema del copyright è rientrato nel dibattito pubblico: la riforma diritto d’autore online dell’Unione Europea entra nella fase finale della negoziazione inter-istituzionale del cosiddetto “Trilogo” (Commissione, Parlamento e Consiglio UE); la cronaca riporta la sentenza che condanna Vimeo, video social network a un risarcimento milionario per violazione del copyright dei programmi RTI (Mediaset), un altro tassello della giurisprudenza che delimita spazi di responsabilità e tutela; mentre Vito Crimi sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria continua la propria battaglia contro il “pezzotto”, decoder per fruire illegalmente di abbonamenti a prezzi scontati via IPTV, la nuova frontiera della pirateria online, come dettagliato nel recente evento di Fapav, partecipato da CRTV. Le notizie hanno in comune un tema cruciale, per la crescita del settore creativo ed editoriale: tutela e riferibilità del lavoro creativo, inclusa l’informazione.
La riforma UE. Il progetto di modernizzazione del copyright online avviato dalla Commissione UE all’interno delle azioni per promuovere il Mercato Unico Digitale, come noto, ha polarizzato il dibattito su alcuni articoli – in particolare l’art. 11 che promuove un diritto connesso degli editori, chiamato dai detrattori della norma “link tax”, perché obbligherebbe le piattaforme a remunerare per l’utilizzo delle news; e l’art. 13, che riguarda il “value gap” ossia il valore generato in rete dalla diffusione di contenuti che non ritorna a chi tali contenuti li ha creti. Si tratta di articoli che in maniera diversa attengono all’essenza del diritto di autore, che pone in capo ai creatori delle opere la titolarità delle stesse, ossia la riferibilità ai fini di deciderne la diffusione, e di ottenere una remunerazione, come avviene nel mondo reale. Ma ci sono anche altri articoli delicati della direttiva, quali ad es. il 14 e il 15, che introducono dei vincoli contrattuali e di reportistica negli accordi fra autori e diffusori che aumentano gli oneri in capo ai broadcaster: tutti delineano una riforma che si sta allontanando dall’obiettivo di promuovere un ecosistema sano per lo sviluppo delle opere protette dal diritto d’autore anche online. In questo dibattito ampiamente polarizzato, spesso disinformato, dove l’unico dato certo è che i big della rete, Google in testa, si sono mossi massicciamente a tutela dei propri interessi commerciali, la notizia degli ultimi giorni è che il testo di compromesso proposto dalla Romania sul testo votato dal Parlamento UE, non senza difficoltà (a luglio e successivamente a settembre) scontenta molti. In generale la riforma appare allontanarsi da quanto in molte sedi giurisdizionali si sta delineando in tema di strumenti a tutela delle violazioni del copyright, che si ricorda, sono rivolti a violazioni massive e ripetute a scopo commerciale, e in tema di profili di responsabilità. La lettera sottoscritta da Confindustria Radio Televisioni con ACT (Associazione delle televisioni commerciali europee) e altre associazioni di autori ed editori di interrompere la negoziazione sull’art. 13 (value gap) vuol indicare che la riforma che si vuole promuovere è peggiorativa rispetto alla situazione attuale e rispetto ai profili di “accoutability” e remunerazione che si stanno delineando a livello giurisprudenziale, anche internazionale.
L’hosting attivo di Vimeo. 8,5 milioni di risarcimento a RTI (Mediaset) per aver pubblicato tutti i video di programmi in violazione del diritto di autore segnalati dall’emittente e rimozione degli stessi; sanzioni di 1000 euro per ogni nuova violazione, 500 per ogni giorno di ritardo nella rimozione: con questa sentenza il tribunale di Roma ha condannato la piattaforma di social video statunitense Vimeo a un risarcimento record per la diffusione di video di programmi protetti dal diritto d’autore. Vimeo dovrà inoltre pubblicare il dispositivo della sentenza sulla propria home page e sulle edizioni digitali e cartacee di due quotidiani nazionali.
L’aspetto interessante della vicenda è anche nella motivazione della sentenza, dove i giudici stabiliscono che Vimeo può essere configurata come piattaforma di “hosting attivo”, “in tutto assimilabile a un servizio di video on demand”, dal momento che il sito permette agli utenti “di individuare, nell’ambito del materiale presente sulla piattaforma digitale, quello corrispondente ad un determinato contenuto illecito”. Anche se si tratta di video caricati dagli utenti e sia presente una qualsiasi attività di editing (la piattaforma si propone come una vetrina per diffondere video dei “creatori”) tale assimilabilità nasce dalla ottimizzazione che viene fatta di tali materiali con attività di “catalogazione, indicizzazione e messa in correlazione”.
Vimeo ha visto gli abbonati paganti alla piattaforma open video SaaS (Software As A Service, un modello per la distribuzione di applicazioni tramite la rete Internet) aumentare del 10% su base annua per raggiungere quasi quota 1 milione (932.000 a fine 2018), ma sono ben 80 milioni gli utenti nel mondo in 150 Paesi vantati dalla piattaforma. Quanto alle entrate (organiche SaaS, escluse le acquisizioni) per il 2018 sono previsti 125 milioni di dollari con un aumentare del 29% sull’anno precedente. Indizi del fatto che la piattaforma, priva di pubblicità, estrae valore anche da asset diversi dal servizio business che offre (es. dati degli utenti). La piattaforma Vimeo è di proprietà del Gruppo USA IAC/Interactive Corp, attivo soprattutto su Internet, quotato al Nasdaq, che oltre a Vimeo oggi gestisce Dotdash (editoria internet, che comprende, fra gli altri The Daily Beast e Investopedia), e detiene anche la maggioranza di Match Group (dating, che comprende Meetic Tinder, Match, PlentyOfFish e OkCupid) e ANGI Homeservices (mercato digitale di servizi per la casa). Con sede principale a New York e sedi operative e uffici satellite in tutto il mondo, il gruppo fondato, e tuttora presieduto, da Barry Diller ha creato dal 2004 (anno di fondazione) 10 società pubbliche, tra cui Expedia, TripAdvisor, Home Shopping Network, e Live Nation (precedentemente Ticketmaster). Il gruppo IAC conta oltre 7.600 dipendenti nel mondo fatturato di oltre 1 miliardo di dollari in rapida crescita (+33% su base annua). Indizi, anche qui, dell’esistenza di economie di scala e di scopo su cui si fondano importanti attività commerciali.
Crimi: ‘Comprare il pezzotto è reato’.
Aveva iniziato con un post su facebook il 12 gennaio scorso, uno screenshot con cui mostrava di aver ricevuto su Telegram una pubblicità cui è seguita un’intervista televisiva (Sky TG24): così il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’Informazione e all’Editoria, Vito Crimi, sensibilizzato sulla nuova forma di pirateria ha sottolineato come sia reato acquistare il cosiddetto “pezzotto”, decoder precaricato con software che permette di accedere via IPTV a abbonamenti a contenuti premium a prezzi irrisori. Reato come rubare un cd in un negozio, e oltre: perché dietro il business si nasconde la criminalità organizzata attirata dal denaro facile e dal riciclo in business remunerativi, come argomentato di recente in un convegno dedicato al tema, presente CRTV.
Il sottosegretario ha indicato come tale nuova forma di violazione – che unisce hardware e software illegali e, tra l’altro, espone gli utenti a malware e profilazioni da parte di interlocutori non ben identificati – colpisca sia il mercato “virtuoso degli autori”, sia le aziende che diffondono contenuti pregiati dopo aver investito nell’acquisto, promozione, produzione (soprattutto eventi sportivi, ma anche serie tv, film e altri prodotti di alto profilo).
Incidentalmente segnaliamo che il servizio era pubblicizzato su Telegram, una pubblicità illegale a tutti gli effetti. Inoltre un servizio come Telegram consente l’esistenza di gruppi “aperti” (ossia, non soggetti ad approvazione per l’ingresso di nuovi membri) che possono ospitare fino a 75.000 utenti, ognuno dei quali può avere accesso istantaneo ai file che sono stati caricati sui gruppi stessi anch’esso presenta profili delicati dal punto di vista della violazione del copyright.
Siddi sul copyright: riconoscimento, remunerazione e controllo. Sul tema l’associazione si è spesa in tutte le sedi istituzionali. Riprendiamo, da ultimo, dal discorso del Presidente Franco Siddi in occasione del convegno Fapav dedicato al tema delle IPTV illegali: “la pirateria viola il diritto degli autori di controllare la diffusione dei propri contenuti e nega l’equa remunerazione degli aventi diritto, caratteristiche del diritto di privativa e del diritto di autore nel modo reale. Soprattutto, mantiene il valore degli sfruttamenti online in capo alle piattaforme che diffondendoli hanno ottenuto ricavi diretti e indiretti, il cosiddetto ‘value gap’. Nella proposta di revisione della direttiva copyright si tenta di eliminare coinvolgere le piattaforme online spingendole a implementare e favorire un controllo alla circolazione dei contenuti; e una equa remunerazione per la filiera degli aventi diritto. Si tratta di tre step distinti, ma collegati: riconoscimento, remunerazione, controllo. La responsabilizzazione degli operatori online esiste nel momento in cui essi costruiscono il proprio business a partire dall’utilizzo di contenuti: con ricavi da pubblicità o abbonamento, ma anche dall’utilizzo dei dati degli utenti a fini di profilazione, commercializzazione, sviluppo tecnologico o di prodotto”.