“La privacy è un diritto umano, abbiamo bisogno di un GDPR per il mondo”: così Satya Nadella, CEO Microsoft al vertice di Davos dove ha richiesto nuove norme globali in materia di privacy, dati e Intelligenza Artificiale.
Non si sa se la dichiarazione risponda al clima di “techlash” (letteralmente “sferzata tecnologica”, tema coniato dall’Economist nel 2017 per indicare l’inizio dell’era del disincanto verso le magnifiche sorti progressive legate all’ascesa delle grandi aziende internet, n.d.r.): di certo illustrando lo spostamento del focus di Microsoft sul cloud computing il manager ha detto che apprezzerebbe normative più chiare, dato che ogni azienda e industria sono alle prese con l’era dei dati; ha elogiato il GDPR entrato in vigore l’anno scorso, e ha salutato con entusiasmo il ” trattare la privacy come un diritto umano” (patrimonio del diritto europeo, n.d.r.) aggiungendo: “spero che gli Stati Uniti facciamo qualcosa di simile e che il mondo converga su uno standard comune partendo da una posizione condivisa che le persone possiedono i propri dati” (posizione, questa, più vicina al diritto anglosassone, si v. al riguardo il testo introduttivo di “GDPR. Istruzioni per l’uso” pubblicato da CRTV).
L’autoregolamentazione non è sufficiente, il mercato non discrimina. La privacy è solo una delle aree controverse per le aziende tecnologiche. Nadella ha per esempio citato il tema del riconoscimento facciale, tecnologia che sarà “democratizzata e prevalente” che oscilla fra applicazioni virtuose (es. la sperimentazione attuata dalla polizia di Nuova Delhi che ha permesso di identificare quasi 3.000 bambini scomparsi in quattro giorni, o quella degli storici negli Stati Uniti che hanno riconosciuto i militi ignoti della guerra civile americana a partire dalle foto scattate). “Ma i lati oscuri includono l’invasione della privacy e dei pregiudizi” ha detto Nadella aggiungendo che nonostante Microsoft abbia delineato una serie di principi per l’uso etico dell’IA “l’autoregolamentazione non è sufficiente, il mercato non discrimina tra l’uso corretto e l’uso sbagliato”.
Riflessioni che potrebbero utilmente informare il lavoro dei legislatori nazionali ed europei anche in temi ulteriori rispetto alla privacy (es. disinformazione).