Dati e riflessioni sul ruolo dell’audiovisivo dal Rapporto Servizi e Reti 2019. La digitalizzazione dell’Italia procede lato offerta, grazie all’avanzamento dell’infrastrutturazione per la banda larga, ma lato domanda – di servizi digitali da parte di utenti, imprese e PA – resta indietro. La presentazione dell’ultimo Rapporto Servizi e Reti di nuova generazione di I-com ha costituito l’occasione per fare il punto sulla digitalizzazione in Italia. Le maggiori criticità richiedono interventi normativi e regolatori che permettano di superare i maggiori ostacoli allo sviluppo individuati, fra l’altro, nella cybersicurezza, nei limiti elettromagnetici e, cruciali, negli investimenti richiesti per completare il Piano dettato dall’Agenda Digitale, nazionale e UE. Nel convegno di presentazione, si sono svolte inoltre delle discussioni in gruppi tematici dedicati all’Intelligenza Artificiale e la blockchain, tecnologie cruciali per alimentare lo sviluppo e della domanda e la competitività nazionale e UE. Come di consueto il Rapporto è ricco di dati provenienti da fonti diverse riallineati in un quadro interpretativo, inclusi dati riferiti all’audiovisivo: da questi risulta un ruolo cruciale che l’industria dei contenuti può giocare nello stimolare la domanda di connettività.
L’indice I-Com. Nel 2019 l’Italia si è posizionata al 23° posto dell’I‐Com Broadband Index, che misura lo sviluppo della banda ultra larga nei mercati nazionali ed europei: peggio di noi in Europa solo Cipro, Croazia, Grecia e Bulgaria. La posizione è stabile in confronto al 2018, ma in calo rispetto al 2017 (22° in Europa): l’Italia è crescita di 4,8 punti, nell’ultimo anno grazie soprattutto all’incremento della sottoscrizione di abbonamenti broadband, passati dal 2 al 15%, ma altri Paesi sono cresciuti di più ( es. Spagna e Portogallo, +7 punti). L’indice ha un focus particolare sulla domanda (grado di digitalizzazione degli italiani) e dell’offerta (livello di sviluppo delle infrastrutture tlc): il ritardo italiano è dovuto soprattutto alla debolezza della domanda digitale che cresce, ma non a sufficienza, e si attesta al di sotto della media europea. Il divario (negativo), secondo i dati riportati nel Rapporto è particolarmente accentuato nell’e‐commerce, usato da appena il 36% della popolazione, e nella sottoscrizione di abbonamenti con una velocità di connessione superiore a 100 Megabit per secondo (Mbps), che rappresentano poco meno del 15% del totale (neanche la metà della media europea), ma anche nella competenze digitali. Riguardo all’offerta (e quindi sostanzialmente riferita al livello di sviluppo delle infrastrutture per la connessione ultrabroadband fisso e mobile, 5G in primis), l’Italia fa invece molto meglio secondo l’indice I‐Com: siamo 15° in Europa con un punteggio di 85,8 su 100, dovuto soprattutto alla ormai quasi totale copertura raggiunta nelle aree rurali e nella rete Next generation access (Nga). Tuttavia, rispetto al 2018 abbiamo perso due posizioni, a vantaggio di Ungheria ed Estonia, soprattutto per via delle difficoltà amministrative e degli impedimenti burocratici che ancora rallentano la realizzazione e il miglioramento delle infrastrutture tlc nel nostro Paese.
5G: alla ricerca della sostenibilità economica, ambientale, e della sicurezza. Fra le reti di nuova generazione un ruolo particolare lo ha il 5G: alla nuova tecnologia per la connessione a banda larga mobile il rapporto dedica un capitolo specifico, il quinto, che parla di roll out delle reti 5G, di sostenibilità economica dell’implementazione dei piani nazionali e UE e di criticità – fra cui limiti elettromagnetici, più alti in Italia rispetto ad altri Paesi, con impatti sull’ingegnerizzazione delle rete e la competitività e sicurezza delle reti il cui sviluppo strategico viene individuato soprattutto su applicazioni IoT. Come noto infatti la UE ha individuato nel 5G una tecnologia strategica per lo sviluppo dei servizi digitali, al punto da trasferirle risorse frequenziali dedicate, fra cui, da ultimo, la banda 700 Mhz, abitata principalmente dalle emittenti radiotelevisive. Fra i dati elaborati nel Rapporto, di particolare interesse quelli relativi ai risultati dei bandi per le frequenze in diversi Paesi, dai quali risulta che l’Italia ha totalizzato le cifre più alte, che si riflettono nei costi parametrati sulla popolazione (prezzo per Mhz x 1000 abitanti), che riportiamo qui sotto.
Ed è solo l’inizio, è il caso di dirlo. Stime Asstel sulla base dei costi UE prevedono per l’Italia un costo di implementazione della nuova tecnologia che oscilla fra i 55 e i 70 miliardi di euro da effettuare nel periodo 2019-2025: fra le variabili di questa forchetta, non ultimo, il citato costo di ingegnerizzazione della rete a seconda dei limiti elettromagnetici adottati, che renderebbe la rete a limiti attuali “ready” solo al 48%, con oltre 27.000 nuovi siti da attivare.
Per quanto riguarda il nostro settore, spinto ad un refarming accelerato di frequenze pregiate con i noti impatti a livello di adozione di nuove tecnologie trasmissive e di ricezione presso gli utenti si segnala che ad oggi sono previsti impatti analoghi a quelli del 4G a livello di interferenze con i segnali broadcast sulle antenne degli utenti.
Audiovisivo: il video come killer app per la connessione e l’apporto dell’industria per AI e blockchain. Il rapporto dedica un paragrafo all’aumento dei consumi televisivi via internet, con l’aumento dei consumi via streaming, gratuiti e a pagamento. Se è noto che parte del consumo televisivo (e, aggiungeremmo radiofonico) avviene online (non a caso Auditel elabora la total digital audience dei contenuti televisivi basandosi sugli schermi di accesso), dai dati risulta: da un lato la conferma della centralità della piattaforma digitale terrestre, utilizzata nel 2018 ancora dal 90% degli italiani; dall’altro anche la sua convivenza con altre piattaforme di fruizione (satellitare e internet) che i dati (fonte Censis) situano addirittura al 41% e 30% rispettivamente. Il rapporto poi analizza la crescita della fruizione SVOD, indicando un aumento degli abbonati ai servizi via streaming (primi tra tutti Netflix e Dazn, ma anche quelli forniti dagli operatori pay o in quadruple offer (esempio TimVision): non appaiono verosimili tuttavia alcuni dati che indicano addirittura il superamento dello SVOD di “operatori non infrastrutturati” rispetto a quelli che lo sono (OTT vs operatori “tradizionali”) – come del resto accennato nel rapporto che documenta in seguito numeri diversi (ma, come al solito stimati, soprattutto per gli operatori OTT e riferiti ai singoli operatori). Una cosa è evidente: i consumi di contentuti audiovisivi, televisione in primis, stanno evolvendo, sovrapponendo diverse piattaforme.
Di certo il consumo di contenuti audio e video online, facilitato dall’altissima penetrazione dei terminali mobili in Italia è un driver importante per la domanda di connessione: un dato che dovrebbe far riflettere i decisori che gestiscono queste delicate transizioni anche su cruciali aspetti di network neutrality e salienza dell’ambiente broadcast, produttore di contenuti AV, culturali e di informazione nazionali.
Concludiamo segnalando infine alcuni dati sull’apporto che le imprese dell’industria AV stanno dando alla domanda di beni e servizi digitali (cloud computing, IoT, Big Data Analytics): secondo dati Istat l’apporto delle imprese del settore audiovisivo all’acquisto di tali beni è secondo, a livello nazionale, solo all’ICT e sopravanza tutti i settori di industria pesante, quali trasporti, energia manifatturiero, e servizi.