Anche il digital advertising per le nuove metriche si orienta verso il modello JIC. Nell’ultimo evento degli Osservatori Digital Innovation – Internet Media del PoliMi, dal titolo “Internet advertising: misurare con attenzione!” si è parlato di pubblicità online in uno scenario cookieless e di regolazione più puntuale della privacy: uno scenario imminente, se non addirittura immanente, per uno sviluppo della Rete equilibrato e rispettoso degli utenti. Come spesso succede, di fronte a transizioni obbligate ci sono paradigmi da rivedere, strategie e strumenti nuovi da adottare, ma la crisi generata dal cambiamento può rivelarsi foriera di nuove opportunità. Tali opportunità, semplificando, attengono alle nuove metriche che ruotano intorno al concetto di “attention” piuttosto che “viewability”. E’ quanto suggerisce, già nel titolo, il convegno dell’Osservatorio Internet Media, che ha affiancato interventi di studiosi del Politecnico di Milano, a manager media, ed esperti di privacy e misurazioni dell’ambiente online. Seguendo l’evento dal punto di vista dei media “tradizionali”, sembra di poter individuare altri due importanti punti di particolare interesse: la richiesta da parte dell’industria del digital advertising di collaborazioni di filiera, creando una Joint Industry Committee (JIC) per garantire l’interoperabilità dei dati; e l’emergere del nuovo strumento dell’ “identificatore universale”, per canalizzare il consenso e il controllo dell’utente sugli utilizzi dei dati acquisibili attraverso gli smart device.
Verso il mercato “cookieless” e della “privacy by default”. “Per anni l’advertising online ha sfruttato molteplici informazioni sugli utenti per targetizzare e monitorare le campagne pubblicitarie, con un impatto rilevante sulla privacy” recita l’introduzione (si v. brochure dell’evento). Simbolo di tale sfruttamento sono i cookies, soprattutto di terze parti, che hanno il vantaggio di condividere dati granulari, accessibili e sincronizzati, ma garantiscono poca trasparenza e controllo sugli utilizzi lato utente. Come noto, il regolatore, soprattutto europeo, è intervenuto a tutela di quel patrimonio di valori condiviso dai Paesi UE che vede nella privacy un diritto della persona sostanzialmente inalienabile (diversamente dal diritto anglosassone) e ha prodotto diversi plessi normativi, alcuni già operativi, altri in itinere: GDPR, e-Privacy, DSA, DMA, per citare i più noti.
“I regolatori e i player della filiera hanno introdotto normative a tutela dell’utente, che però limitano le informazioni a disposizione per le attività pubblicitarie”. A chi non è addentro alle logiche pubblicitarie online, non appare evidente se le limitazioni dei cookie nei browser sia un’iniziativa forzata o facilitata dalla regolazione sulla privacy. La cronistoria presentata durante il seminario, che ricostruisce i due percorsi, lato industry e lato regolazione non si addentra sulle motivazioni, ma appare chiaro l’effetto “mirroring” dei due andamenti.
In altre parole, la cronistoria del processo di eliminazione dei “biscottini” con l’adozione di sistemi di tracking proprietari è la risposta auto-regolatoria delle big tech. La cronistoria racconta un graduale tirare i remi (e i dati) in barca da parte dei maggiori browser, con impatti forti sugli utenti business (ma non solo) e sulla competitività degli stessi: i cookie di prima parte in mano alle grandi piattaforme costituisce infatti un asset di grande valore. In un contesto “privacy by default”, inoltre, anche le attività di misurazione e valutazione delle campagne online vengono rimesse in discussione. La perdita di “segnali” e informazioni granulari spingono alla diffusione di approcci e strumenti di misurazione che ricorrono all’AI, ad algoritmi sempre più evoluti e a metriche di attenzione, appunto, per una valutazione più completa degli effetti delle campagne pubblicitarie.
Dalla visibilità all’attenzione. Le modalità di misurazione delle campagne stanno evolvendo verso l’adozione di metriche di attenzione (attention), che monitorano se la campagna è stata realmente vista dall’utente ed è stata in grado di catturarne l’attenzione.
Tali metriche vanno oltre il concetto di visibilità (viewability), peraltro concetto che mostrava già segni di “stanchezza” (ad clutter, basso recall). Un po’ come guardare e vedere…
Le dotazioni di misurazione cambiano, per far fronte a questo contesto in evoluzione: a strumenti definiti “deterministici” e “incrementali” si stanno affiancando gli econometrics dell’attenzione che permettono una visione ampia, ma allo stesso tempo precisa, delle performance delle campagne non essendo impattati in modo rilevante dallo scenario cookieless. Lo scenario di tali nuove misurazioni è molto ampio, come dimostra la mappatura che segue.
Addressability e measurability. L’impatto delle normative e delle scelte dei principali tech-player in ambito privacy stanno portando a radicali cambiamenti che influenzano, già oggi, i principali paradigmi che hanno caratterizzato il mercato del digital advertising nell’ultimo decennio: l’addressability, ossia la capacità di mostrare campagne pubblicitarie mirate esclusivamente a consumatori specifici, e la measurability, la capacità di misurare gli effetti delle attività di comunicazione potenzialmente anche a livello di singolo individuo. La Ricerca 2022-23 dell’Osservatorio Internet Media ha approfondito queste evoluzioni del panorama attuale dell’Internet advertising, ma che avranno anche un forte impatto sul futuro di tutta l’industria pubblicitaria. Le nuove soluzioni di profilazione sono note da almeno tre o quattro anni: sono diverse le informazioni e i dati presenti nel mercato che possono essere utilizzati per la targetizzazione dell’utente, anche in un contesto mutevole come quello attuale, si parte dagli Zero e First Party Data fino agli Identificatori Universali, dalle pianificazioni di contextual advertising (addressability pubblicitaria anche in funzione della pertinenza dell’ambiente in cui l’annuncio è inserito) fino alle soluzioni e alle tecnologie AI-based (che consentono l’analisi di molteplici variabili, fra cui, oltre a elementi contestuali, formato dell’annuncio, posizionamento, audience del sito sul quale è pubblicato, performance delle campagne passate e d engagement dell’utente).
Identificatore universale, JIC, media. Ma forse è l’engagement attivo dell’utente la frontiera più innovativa su cui si sta lavorando: al riguardo rileva lo sviluppo delle soluzioni di identità, quali l’ ”identificatore Universale”, che comporta una partecipazione attiva dell’utente tramite consenso e controllo dell’utilizzo dei propri dati. L’obiettivo è giungere a targettizzare la comunicazione pubblicitaria, a beneficio di utente e investitore pubblicitario, la sfida è farlo entro i limiti ammessi dalla normativa a tutela della privacy – ad esempio evitando forme di consenso generalizzato. Si sta lavorando sull’identificatore universale attraverso due principali approcci: un coinvolgimento diretto dell’utente (via mail, “deterministica”) o utilizzo di strumenti “probabilistici” basati dati anonimizzati (cookie, indirizzo IP…). L’identificatore universale è riferito ai device connessi e alla pubblicità veicolabile sugli stessi e mira a inserire questo ulteriore strumento nella strategia che guarda all’attenzione come strumento di targettizzazione, misurazione, e tutela della privacy. Al centro del sistema dell’identificatore è il terminale mobile e personale per eccellenza, lo smartphone, che permette anche la geolocalizzazione di comunicazioni pubblicitarie, ma l’ottica è quella della produzione di dati crosschannel.
Si torna al JJC, per garantire interoperabilità e affidabilità. Fra le sfide maggiori, tuttavia, c’è quella dell’interoperabilità delle nuove metriche, e la necessitò di avere un approccio di filiera che coinvolga tutti gli operatori, fra cui gli editori (media). La forma di collaborazione individuata è quella della joint industry committee (JIC), è emerso nel convegno.
La JIC, come noto, è la formula utilizzata da tempo per la misurazione degli ascolti e le campagne dei media tradizionali, che punta sulla affidabilità del controllo e consenso condiviso, ma che al tempo stesso non prescinde dalle innovazioni tecnologiche, come provato dalle evoluzioni più recenti del sistema Auditel. I media in questa partita rientrano anche per l’ibridazione sui nuovi device (si pensi ad es. alla smart TV e agli smart speaker): per il problema dei dati, titolarità, trasparenza, accessibilità e trattamento degli stessi, specie quando intermediati dalle grandi piattaforme, in un’ottica che garantisca un effettivo level playing field. E non ultimo, la tutela della privacy dei consumatori quando utilizzano i device connessi, che resta una preoccupazione importante, come ampiamente testimoniato dagli stessi.