Il 29 marzo a mezzanotte CET (Central European Time) scade il periodo di due anni per la negoziazione dell’uscita del Regno Unito dalla UE. Il Parlamento britannico ha votato ieri, 13 marzo (312 a 308) un emendamento che chiede al governo di escludere in ogni circostanza e in qualsiasi momento lo spauracchio del “No Deal”, cioè l’uscita senza accordo di Londra dall’Unione Europea. Un segnale fortissimo, ma con una maggioranza stretta e, soprattutto, non vincolante: il “No Deal” rimane tecnicamente automatico il 29 marzo, qualora non si raggiunga un accordo o un’estensione della scadenza approvata dalla UE. Oggi verrà votata una mozione per estendere la scadenza del 29 marzo per ottenere un accordo sulla Brexit, con due possibilità: un rinvio breve (fino a giugno) e uno più lungo (forse di un anno).
Il nodo dell’uscita del Regno Unito dalla UE continua ad essere centrale nelle news internazionali. E potrebbe valicare i confini temporali degli attuali referenti nella UE, per le votazioni del Parlamento fissate in maggio.
Deal o no deal si tratta di big deal, anche per l’audiovisivo. Il Brexit ha impatti sul settore di nostra diretta pertinenza, il radiotelevisivo, ma anche in quelli contigui, quali ad es. audiovisivo e musicale. Fra gli impatti già visibili, gli spostamenti di molti dei quartieri generali delle imprese dell’audiovisivo e tecnologiche nel continente. Si registrano soprattutto movimenti delle multinazionali, che nell’indecisione del deal/no deal preferiscono avere una sede legale all’interno del territorio UE. I movimenti si registrano soprattutto verso l’Olanda: è il caso di Discovery, che ha localizzato lì la sede europea dei canali pay, anche se mantiene la sede londinese per le attività in loco – le licenze britanniche dei suoi 16 canali trasmessi nel paese e le partecipazioni in UKTV, All3 Media Group e Play Sports Group. Le emittenti internazionali si muovono per prevenire il rischio di invalidazione delle licenze di trasmissione in Europa, presentando richieste in nazioni europee al di fuori del Regno Unito – è il caso di Turner Broadcasting System Deutschland, che ha fatto domanda di 6 licenze di trasmissione per canali tv internazionali alla Bavarian Media Authority (Blm) – TCM (Irlanda/Malta), TCM (Grecia), TCM (Francia), WBTV (Francia), TNT (Polonia) e TNT (Romania) e di NBC, che ha già ottenuto la licenza – Syfy, E! Entertainment (2x), 13 Ulica, SCIFI and DIVA e tutti canali pay. Le licenze di tutti e 12 i canali sono ora sottoposte al vaglio dell’autorità antitrust tedesca ZAK. Anche il servizio di video streaming sportivo DAZN si è assicurato una licenza di trasmissione in Germania, dall’autorità MABB di Berlino Brandeburgo per i propri servizi in Germania, Austria e Italia. Warner Media risulta essere impegnata con il governo tedesco, Viacom International Media Networks ha ottenuto delle licenze per la trasmissione di un bouquet di canali televisivi destinati a Francia e Danimarca.
È trapelata la notizia anche dell’avvio delle trattative da parte della BBC con il governo irlandese per l’ottenimento di licenze transnazionali e/o per gli accordi commerciali. Si ricorda che in caso di Brexit l’Irlanda (con l’esclusione dell’Irlanda del Nord) resterà in UE, con il relativo problema della ricostituzione di un confine interno politicamente molto sensibile – il problema della cosiddetta backstop clause. Il Regno Unito è l’hub più rilevante per i canali Tv lineari e servizi on-demand che coinvolgono altre nazioni.
La base legale di queste richieste è che la licenza dell’autorità inglese OFCOM non potrà più costituire una valida base legale per trasmettere in un qualsiasi Paese europeo e per le licenze paneruopee (a questa preoccupazione sembra rispondere anche la mossa di Discovery). Ma il dubbio legale riguarda anche il principio del paese di origine, reiterato nella nuova direttiva SMAV in fase di recepimento, la cui applicabilità al Regno Unito, specie in uno scenario no-deal potrebbe essere messa in dubbio. Nel caso di una Brexit senza accordo, il Regno Unito non sarebbe più parte dell’AVMSD e sarebbe classificato come un “paese terzo”.
E’ del mese scorso (12 febbraio) l’intervento del governo del Regno Unito con proposte di emendamenti (Broadcasting Amendments) che si applicherebbero alle trasmissioni radiotelevisive nel Regno Unito dal giorno dell’uscita in uno scenario no deal, proposte in base alle quali OFCOM ha preparato nuove licenze draft e un Q&A di accompagnamento.
Semplificando, gli emendamenti del governo in materia di accordi di licenze radiotelevisive richiedono che qualsiasi canale TV che appaia su una EPG nel Regno Unito debba essere autorizzato e regolato nel Regno Unito.
I canali televisivi basati nel Regno Unito e trasmessi ad un altro paese coperto dalla Convenzione europea sulla televisione transfrontaliera (ECTT) saranno disciplinati dalle disposizioni dell’ECTT. L’ECTT precede la SMAV e consente la libertà di ricezione dei servizi TV tra i paesi che ne sono parte, prevedendo un principio di paese di origine simile alla SMAV, ma: non copre i servizi VOD, Inoltre dalla ECTT sono esclusi alcuni stati membri dell’UE quali Belgio, Danimarca, Grecia, Irlanda, Lussemburgo, Paesi Bassi e Svezia.
L’impatto dell’uscita del Regno Unito dalla UE ci sarà, deal o no deal, anche per il peso che tale mercato ha sull’audiovisivo dell’Unione. Richiamiamo qualche dato:
- Il regno Unito rappresenta il 23% del mercato audiovisivo europeo per valore. Insieme alla Germania è il più grande mercato dell’Unione;
- Il Regno Unito pesa per il 16% della produzione cinematografica europea ed è il primo produttore di serie televisive di alto profilo internazionale;
- Oltre 500 canali pan-europei attualmente usano licenze di trasmissione concesse dal regolatore britannico, ed è primo per sede legale dei servizi on demand.
Questi e altri dati sono accessibili dal sito dell’Osservatorio dell’Audiovisivo Europeo di Strasburgo, che ha dedicato al tema anche un convegno. Per una disamina degli aspetti normativi e regolamentari lo stesso organismo ha prodotto un approfondimento.
Opportunità e sfide. Gli impatti della Brexit vanno oltre quanto accennato: la portabilità degli abbonamenti per es. non si applicherà agli abbonati a sevizi SVOD britannici. Ossia la Brexit, lato utenti, potrebbe portare i residenti britannici a vedere anche in viaggio serie Tv e film contenuti nell’abbonamento sottoscritto, ma in misura ridotta rispetto agli altri europei. Ma anche la normativa sul copyright o sul GDPR approvata in ambito UE potrebbero disapplicarsi. Il Regno Unito perde tutti quegli aspetti legati agli aiuti di stato, agli schemi e gli incentivi alla produzione e creazione, e un patrimonio di regole di settore condivise (es. SMAV, SATCAB), oltre alla libera circolazione di persone e merci in ambito UE. Un patrimonio che dovrà essere rinegoziato in accordi bilaterali in caso di no deal, con tempistiche ed effetti ad oggi non ponderabili.
Se le conseguenze lato utenti sono evidenti, meno, forse, è la possibilità si crei un safe harbor alle porte della UE che potrebbe avvantaggiare ulteriormente le multinazionali, incluse quelle del web. La sfida, per la UE e il Regno Unito è di arrivare a un accordo che almeno preservi quanto faticosamente costruito, insieme, fino ad oggi.