Confindustria Radio Televisioni (Crtv) appoggia la pronta approvazione e entrata in vigore dell’imposta sui servizi digitali come formulata nel Ddl di bilancio 2020. Chiede tuttavia di assicurarsi che l’identificazione dei soggetti passivi di imposta vada a identificare quanti attualmente eludono le norme fiscali e non penalizzi gli operatori italiani con ulteriori oneri. Di questo tenore la lettera inviata oggi dal Presidente dell’Associazione Franco Siddi ad una serie di interlocutori politici.
La manovra di bilancio attualmente in discussione al Senato (AS 1586) prevede infatti l’immediata vigenza (senza necessità di decretazione attuativa) dal gennaio 2020 dell’imposta sui servizi digitali
Ratio della norma, come noto, è andare a recuperare parte dell’imponibile eluso dalle multinazionali, soprattutto digitali, ponendo a carico di operatori anche non residenti in Italia una imposta per una serie di servizi digitali che generano ricavi sul territorio nazionale. Come noto si tratta di una norma ponte, ossia temporanea (è prevista espressamente la sua decadenza), in attesa che norme condivise a livello più ampio (G20/OCSE) e che trattino altri aspetti critici della fiscalità digitale (es. la definizione di stabile organizzazione) siano approvate e implementate.
L’Associazione ha sempre appoggiato ipotesi di approvazione di norme “ponte” che nelle more di soluzioni internazionali ampiamente condivise – e, come tali, auspicabili – permettano di iniziare a contrastare le asimmetrie esistenti: l’asimmetria fiscale infatti si aggiunge ad altre che rendono i nostri operatori meno competitivi a livello globale. Per quanto riguarda il settore radiotelevisivo per esempio nel 2018 i ricavi pubblicitari generati in Italia nel 2018 solo da Google e Facebook (elaborazioni CRTV su dati Nielsen, FCP Assointernet, Polimi/IAB) superano i 2,6 miliardi di euro, e sono pari al 70% degli investimenti in pubblicità online.
Si tratta di dati parziali del valore generato in Italia dalle multinazionali del web, perché i ricavi derivano anche da abbonamenti (2 milioni gli abbonati stimati di Netflix in Italia, 7 milioni gli abbonati al servizio premium di Spotify) e da elaborazione / profilazione / vendita dei dati degli utenti e usi di big data per scopi di machine learning/intelligenza artificiale. Nonostante le posizioni di assoluta preminenza in settore strategici e in rapida crescita i proventi generati da tali business non restituiscono fiscalità né occupazione in Italia. L’urgenza è dettata dal fatto che tali operatori, a livello nazionale e globale hanno economie di scala e di scopo, capitalizzazione in borsa inedite e conseguenti capacità di investimento che ne accrescono ulteriormente il vantaggio competitivo.
Sì ad una norma ponte direttamente applicabile, quindi, da tempo dovuta e attesa, per ristabilire equità fiscale, concorrenziale e base imponibile erosa. È però importante assicurare che tale norma non vada a penalizzare le imprese nazionali, non solo radiotelevisive, con ulteriori oneri fiscali in aggiunta a quelli assolti. Il correttivo che Crtv sta attivamente richiedendo in sede di presentazione degli emendamenti è di circoscrivere le soglie (nazionale e globale) di identificazione dei soggetti passivi di imposta ai soli ricavi riferibili ai servizi digitali individuati dalla norma. In tal senso del resto, la proposta di direttiva UE cui si ispira la norma italiana e le norme ponte nazionali, es. quella francese, già in vigore, o quella britannica, che sarà applicata la prossima primavera.