Le stime di IAB Italia e il nodo della web tax. In Italia gli investimenti in digital advertising raggiungeranno quasi i 3 miliardi di euro (2,97 mld,) contro i 2,67 del 2017 con un incremento dell’11%. È quanto risulta dai dati presentati durante lo IAB Forum che si è svolto a Milano in questi giorni sulla base degli studi presentati in anteprima da Nielsen e dall’Osservatorio Internet Media della School of Management del Politecnico di Milano.
La pubblicità digitale ormai rappresenta un terzo degli investimenti pubblicitari italiani (32%), seconda solo al mezzo televisivo la cui raccolta tuttavia cresce a tassi molto più contenuti (sotto il punto percentuale, +0,8% secondo le stime Nielsen a chiusura 2018).
Dal report del Politecnico emerge anche l’immagine di un mercato dell’Internet advertising che oltre a crescere a tassi a due cifre, appare molto concentrato sulle multinazionali del web: gli OTT, e in particolare Google e Facebook raccolgono circa il 75% della raccolta digital e, per il tasso di crescita ben superiore agli altri settori (stampa periodica e quotidiana, radio, cinema, affissioni), oltre il 90% della crescita del totale mercato.
I dati spingono Carlo Noseda, Presidente Iab Italia a sollecitare il governo a procedere celermente con l’introduzione di una Web tax, poiché le grandi multinazionali del Web stanno cannibalizzando la crescita del settore digitale italiano, senza restituire al nostro Paese occupazione né gettito fiscale.
Le stime di CRTV. Confindustria Radio Televisioni aveva sollevato il problema già a suo tempo, in ambito di dibattito sui diversi disegni di legge via via presentati sulla fiscalità digitale (da ultimo l’audizione sul DL “Mucchetti”). Secondo le nostre stime emergeva anzitutto una sottovalutazione del peso pubblicitario della pubblicità online nelle stime ufficiali (Nielsen e AGCOM) successivamente estese a ricomprendere le componenti Search e Social, uniformando peraltro i dati italiani a quelli europei, diffusi appunto in ambito IAB. Esisteva inoltre la possibilità di attribuire, nella differenza dei dati documentati da FCP Assointernet e le stime “ufficiali” una percentuale molto significativa (circa il 70%) ai grandi operatori della rete, in primis Google e Facebook.
Aggiornate le stime agli ultimi dati disponibili (2017), si conferma il trend, erodendo basi imponibili allo stato italiano e spazi di competitività alle imprese nostrane, non solo del settore Internet. La televisione infatti, pur mantenendo ancora quote maggioritarie del totale mezzi, stenta a crescere e permane ben al di sotto dei livelli di raccolta pre crisi economica.
La necessità di un intervento tempestivo. Sull’urgenza di intervenire è alto il livello di consapevolezza in ambito europeo e sovranazionale dove sia la UE che l’Ocse da tempo stanno lavorando su come estendere gli istituti della fiscalità reale al digitale, in un’ottica di equità; e su come combattere l’erosione della base imponibile, ad opera della dematerializzazione di asset, scambi infragruppo, apolidia fiscale delle multinazionali, forme di paradisi fiscali/fiscalità agevolata anche all’interno del perimetro UE. Come noto la UE, e in particolare la Francia e i maggiori mercati europei stanno spingendo per soluzioni ponte condivise (una tassa sui ricavi) nell’attesa di interventi strutturali condivisi a livello multilaterale. All’ultimo Ecofin l’inaspettato atteggiamento attendista della Germania si è affiancato alla dichiarazione di intenti di due Paesi, Regno Unito e Spagna, di procedere con azioni unilaterali già a partire dal prossimo anno (il Regno Unito ha già annunziato la norma); e analoga sembra essere la posizione del nostro governo italiano. Per una azione UE tutto è rimandato all’ Ecofin di dicembre.
Nel frattempo, come aveva dichiarato il presidente di Confindustria Radio Televisioni, Franco Siddi “È un dovere etico, specie in un momento di crisi come quello attuale, recuperare ai cittadini questo ingente contributo fiscale. È un dovere di equità nei confronti delle imprese nazionali bilanciare la situazione esistente, che volge il vantaggio fiscale in vantaggio competitivo ingiustificato a favore dei gruppi multinazionali”.
Il tema successivo, come noto, è il come e il quando.