Martedì 8 gennaio la delegazione di Confindustria Radio Televisioni composta dal Vice Presidente Stefano Selli, il Direttore Generale Rosario Alfredo Donato, Annamaria La Cesa, Roberta Romiti, Carlotta Ca’ Zorzi e Fabio Bulgarello è stata audìta dall’Agcom in merito al “questionario sulle modalità attuative dell’art. 9 (pubblicità giochi) della legge 96/18 di conversione del DL 87/18 (c.d.decreto dignità).
Nell’illustrare il proprio contributo i rappresentanti dell’associazione hanno ribadito la perplessità in merito alla previsione di un divieto di qualsiasi forma di pubblicità relativa a giochi o scommesse per le trasmissioni televisive o radiofoniche, osservando come l’impianto generale della disciplina presenti notevoli criticità.
Il legislatore ha infatti considerato la comunicazione inerente i giochi al pari di un incentivo ad un abuso, senza considerare il tradizionale, riconosciuto e forte ruolo educativo e informativo della pubblicità. Quest’ultima assume un ruolo positivo e importantissimo per la valorizzazione dell’offerta legale dei giochi, indirizzando il pubblico verso servizi di gioco ufficiali, controllati e regolamentati.
La previsione del divieto assoluto della pubblicità del gioco legale non riuscirà quindi a impedire, contenere o addirittura eliminare il ricorso al gioco illegale, che come noto, si sviluppa in un terreno sommerso e tutt’altro che trasparente.
Sul punto si è richiamato quanto previsto nella Raccomandazione della Commissione Europea (2014/478/UE) sui servizi di gioco d’azzardo on line, nella quale si rileva proprio il ruolo positivo svolto dalla pubblicità radiofonica e televisiva.
Ancora, si è segnalato come occorrerebbe innanzitutto distinguere la diffusione della pubblicità sui mezzi classici (tv, radio e giornali), soggetti a regolazione e controllo, da quella incontrollabile, assai più consistente e pervasiva, della pubblicità on line.
La pubblicità dei giochi tramite il Web rischia di sfuggire al divieto in quanto spesso riguarda siti soggetti a giurisdizioni extra nazionali ed extra europee nelle quali ad oggi non è prevista alcuna forma di limitazione. Ciò comporta un’ennesima perturbazione del level playing field.
Nel merito del questionario, CRTV ha evidenziato la necessità di precisare che non debba ritenersi “pubblicità” o “sponsorizzazione” alcuna delle “citazioni visive ed acustiche” che si risolva in una generica menzione di un brand appartenente a imprese che abbiano nell’oggetto sociale anche (ma non solo) i giochi.
In altre parole, se un messaggio pubblicitario o una sponsorizzazione non fa alcun riferimento al gioco, esso dovrà ritenersi estraneo al divieto. Analogamente, non potrà ritenersi vietata la pubblicità effettuata con il brand della concessionaria di giochi e scommesse che, oltre ai giochi con vincita in denaro, fornisca anche altre tipologie di servizi. E ciò è a maggior ragione confermato dallo scopo che la norma si pone di perseguire, ovvero il contrasto del disturbo del gioco d’azzardo.
Ancora, riguardo all’ambito di applicazione del divieto, CRTV ha suggerito di considerare le sponsorizzazioni nell’ambito della categoria generale della comunicazione commerciale, anche ai fini dell’esenzione dall’applicazione del divieto, per il primo anno dall’entrata in vigore della norma, con riguardo ai contratti in corso di esecuzione. A sostegno di tale lettura, concorre la circostanza che di regola i “contratti di pubblicità” sono unici e includono le sponsorizzazioni unitamente ad altre forme di comunicazione commerciale. Confindustria Radio Televisioni richiama altresì l’attenzione sul fatto che il legislatore avrebbe dimostrato un certo favor verso la figura della sponsorizzazione in ragione di una sua minore lesività nella misura in cui ne ha previsto il divieto solo dal 1° gennaio 2019 a differenza di quanto stabilito per la pubblicità, vietata sin dall’entrata in vigore della norma.
Da ultimo, l’associazione non ritiene condivisibile l’impostazione secondo la quale, ai fini dell’individuazione dei destinatari della sanzione da irrogare, per l’Autorità rileverebbe il luogo in cui il server è collocato.
Il principio da applicare è infatti quello della destinazione del servizio, in quanto il server può essere collocato ovunque nel mondo, ma se il contenuto è disponibile sui siti raggiungibili in Italia, il pubblico cui si rivolge il messaggio è quello italiano.
Non ha pertanto senso, e creerebbe una assurda asimmetria, esporre al divieto solo chi ha il server in Italia: il divieto sarebbe eluso molto facilmente, e le sanzioni diverrebbero inapplicabili.