“In un periodo in cui il dibattito sulle fake news e l’incitamento all’odio sono all’attenzione generale, Radio e Tv continuano ad essere impegnate ad operare con responsabilità, etica e trasparenza, nella produzione e veicolazione di informazioni mediate e verificate” dichiara il Presidente di CRTV Franco Siddi. “D’altronde non può che essere così per un sistema, come quello da noi rappresentato, in cui Radio e Tv sono editori, ossia attori identificati e riconoscibili che hanno instaurato, con la filiera e con il proprio pubblico, un rapporto fiduciario basato sulla correttezza, l’autorevolezza e la responsabilità”, che prosegue “ non è più procrastinabile un intervento che estenda le regole della convivenza democratica, della concorrenza leale, dell’equità fiscale anche al mondo del web”.
Stop Hate for Profit. La campagna di boicottaggio contro Facebook arriva anche in Europa, una nemesi della viralità della rete contro chi ne ha creato un impero. Il boicottaggio, lanciato da associazioni per i diritti civili (la coalizione Stop Hate for Profit, che raggruppa Anti-Defamation League (Adl), Naacp e Color of Change), è stato a sua volta ispirata dalle proteste di strada esplose negli Stati Uniti in seguito all’uccisione dell’afroamericano George Floyd.
Grandi investitori pubblicitari internazionali come Puma, Adidas, Sap, Vans e Pfizer, Verizon, Honda, Levi Strauss, Patagonia, per citarne alcuni, dopo altre grandi multinazionali del calibro di Starbucks, Unilever e Coca Cola hanno annunciato l’intenzione di sospendere le inserzioni sui social del gruppo (Facebook, Instagram) accusato di non prevenire a sufficienza la diffusione di odio e disinformazione sulle proprie piattaforme. Altre grandi multinazionali (anche italiane) potrebbero unirsi al boicottaggio temporaneo. Le società aderenti alla campagna «Stop Hate for Profit» sono ormai oltre 240. Secondo un sondaggio della World Federation of Advertiser (rappresenta il 90% delle spese pubblicitarie globali), un terzo dei più importanti marchi al mondo ha sospeso o è in procinto di sospendere il marketing su Facebook, Twitter, Snapchat.
Il danno per Facebook e le altre piattaforme social potrebbe essere rilevante, ma forse non tanto quanto i promotori dell’iniziativa si augurano: infatti la massa critica dei ricavi pubblicitari di Facebook è la coda lunga dei piccoli inserzionisti (secondo alcune stime i primi 100 degli 8 milioni di inserzionisti pesano solo per il 20% dei 77 miliardi di dollari ricavi totali previsti da Facebook per il 2020). Il boicottaggio assume varie forme, Pfizer non farà pubblicità su Facebook e Instagram per il solo mese di luglio, Sap manterrà il blocco sino a che Facebook non “assumerà impegni significativi e credibili nella lotta a odio e disinformazione”. Molti, forse, cavalcano la necessità contingente post Covid di tagliare i costi.
Di certo Facebook ha subito un indubbio danno di immagine, con ripercussioni sulla capitalizzazione del titolo, in calo dell’8%, poi in parte rientrato. Ed è corso ai ripari: ha accettato di sottoporre ad audit i propri sistemi di controllo ed eliminazione dei contenuti offensivi o falsi, ha proposto di etichettare i post dei politici che violano le regole ma restano degni di nota per il pubblico dibattito – e dunque potrà contrassegnare anche i post del presidente Donald Trump, la campagna si inserisce a pieno titolo anche nel contesto delle elezioni americane. Facebook lancia inoltre la campagna delle “tre domande” contro la disinformazione, che inizialmente raggiungerà un numero limitato di persone nell’Unione Europea, nel Regno Unito e in Medio Oriente, Africa e Turchia; e annuncia che nella sezione News Feed, varrà dato maggiore risalto sulla timeline degli utenti a “notizie originali e scritte da giornalisti riconosciuti.”
Siddi: Basta volontarismo, responsabilità, trasparenza, condivisione delle regole. Maggiore responsabilità, azioni e trasparenza, rispetto dei diritti umani è quanto richiesto dagli investitori di peso alla multinazionale social che obtorto collo e in corsa si adegua ad azioni già previste da altri social (es. Twitter). Ma deve finire l’era della autoregolazione e delle iniziative volontaristiche. Fermo restando “il ruolo centrale dell’alfabetizzazione digitale, e della tracciabilità di fonti certificate, come ad es. sono quelle professionali” ha dichiarato Siddi, resta il problema che “I like non sono certificazioni di affidabilità, non bastano gli algoritmi e si deve seguire un percorso condiviso e basato sulla correttezza”. È necessario innanzitutto assicurare il principio di trasparenza dell’algoritmo che attualmente applica l’ottimizzazione commerciale ai contenuti informativi, e garantire tutela e riferibilità del traffico e dei dati generati dagli utenti a chi li ha generati, giornalisti, creatori di contenuti, editori: i ricavi pubblicitari sono infatti solo la punta di una piramide di guadagni e vantaggi competitivi costruiti sullo sfruttamento dei dati personali e dei big data. “Vorremmo essere certi sempre che non ci sia un nostro gemello digitale a sostituirci – senza nostro consenso o consapevolezza – utilizzando tutti i nostri dati”. Continua Siddi “Chi opera nei media con criteri di professionalità (sia nell’ambito dell’impresa che, per es. del giornalismo) costantemente innalza l’asticella della lealtà e della correttezza, ma oggi spesso perde la partita di fronte a chi può compiere manipolazioni e usi commerciali indebiti, danneggiando singoli, comunità, attività di impresa, sfuggendo a doveri etici e obblighi giuridici”.
La consapevolezza a livello europeo appare matura. Sulla disinformazione le recenti indicazioni dell’Erga spingono per una effettiva co-regolazione. Anche sull’incitamento all’odio si può migliorare. In generale gli strumenti e le azioni di intervento predisposti in questi ambiti indicano come le piattaforme possano (e debbano) intervenire con celerità in caso di violazione di interessi costituzionalmente garantiti. In ambito UE gli strumenti da attivare sono: Digital Single Act improntato sull’equa competizione e la responsabilizzazione delle piattaforme; allineamento della normativa e-privacy (business) al GDPR (utenti); co-regolazione in tema di disinformazione, incitamento all’odio e minori. A livello interno, rapida trasposizione del copyright.