Dal 2023 Outlook di Variety Intelligence Platform, emerge una mappatura dello scenario competitivo globale MEDIA & TECH “molto affollato”: su questo scenario si misura, fra gli altri, il futuro della tv.
Il rapporto identifica 6 macro aree, e per ognuna costruisce una griglia delle maggiori società che operano al loro interno e in quali categorie di business model per poi approfondire alcuni aspetti specifici. Dall’estratto reso disponibile, relativo allo streaming si intravede uno scenario competitivo molto complesso e agguerrito, e il delinearsi di nuove aree e operatori – ad es. il MVPD (Multichannel Video Programming Distributor), business in Europa presidiato anche da Sky e la sua variante “virtual” (VMPD).
Il rapporto ha l’ambizione di dare uno sguardo globale, molti degli operatori “Media & Tech” sono multinazionali, ma gli approfondimenti sono spesso limitati ai dati del mercato USA, che in tema di streaming è molto più maturo. L’analisi di scenario, per il nostro settore, pone con urgenza l’interrogativo di come garantire sostenibilità e un’equa competizione nell’arena digitale, dove la concorrenza sulla pubblicità legata a video e audio è già feroce e legata a grandi multinazionali provenienti da vari business e aree geografiche.
I sei settori: la tv si misura con tutti. I sei settori delineati nel rapporto sono: streaming (diviso in SVOD/AVOD, FAST), digital (social media, advertising), tv (news, broadcast, sport), videogames (top earners, console wars, the reality of VR), hardware (CTV devices, Smart TV), film (studios, exhibition).
Già da questa ripartizione si evince come la televisione si trovi, per business diretto o di filiera, a svolgere attività in tutte le aree, tranne una, quella relativa ai videogames, con la quale però esiste un tema fondamentale di concorrenza per l’attenzione degli utenti, a capacità di spesa, e le risorse pubblicitarie, oltre a possibili ibridazioni di contenuti e format.
Scendendo nello specifico dello streaming, la mappatura è di interesse anzitutto per gli operatori indicati, fra cui – niente di nuovo – le big tech quali Amazon, Apple, Google, con le relative economie di scala e di scopo, non ultime i big data e la profilazione degli utenti: per questo aspetto è di particolare interesse la posizione di Amazon, presente in 6 delle 8 categorie di business. Accanto ad essi, nell’arena competitiva globale, gli operatori media (AMC Networks, Disney, Fox, Lionsgate, Paramount, Warner Bros.- Discovery), piattaforme streaming “native” (Netflix, Spotify, Roku), operatori telco (Comcast, Verizon).
Dal commento alla griglia ricaviamo alcune visioni di scenario: che nel 2022 per la prima volta dal 2018 nessuna azienda statunitense è entrata nel business SVOD (Subscription Video On Demand), indice che i segnali di attenzione Wall Street sull’economia dello streaming ha dissuaso nuovi operatori. Il report indica inoltre che presumibilmente già nel 2023 si potrebbero ritirare da questa area di business attori “più piccoli”, tipo Paramount e il loro ritorno a politiche più “tradizionali” o di fusioni e acquisizioni (M&A).
AVOD vs SVOD: crescita senza profitti. Il report sottolinea come tutti gli streamer “tradizionali” come Netflix, abbiano abbracciato l’opzione pubblicitaria e d’altro canto come la concorrenza per tale risorsa stia aumentando anche per l’erosione di pubblico ad opera degli operatori TV.
Il rapporto prevede un aumento dell’ARPU (Average Revenue per User) dall’ AVOD per Netflix e Disney+ nel 2023, ma anche l’impatto del downgrade – ossia la migrazione degli abbonati verso l’opzione AVOD per contenere la spesa – che potrebbe in parte cannibalizzare i ricavi da abbonamento, prima di un assestamento (grafico ARPU Forecast).
Infine il rapporto documenta come Netflix rimanga l’unico operatore con utili nel segmento streaming, grazie al “first mover advantage” di un decennio di attività e uno sguardo più mite di Wall Street in tale periodo. La profittabilità appare legata alla rapidità di penetrazione della base utenti ed è sintomo della competitività di questo segmento.
FAST… and furios! All’opposto il segmento FAST (Free Ad Supported Streaming TV) è in crescita e il rapporto si spinge a prevedere un salto in avanti nel 2023 nella monetizzazione di brand e library da parte di Disney e Warner Bros.- Discovery a livello globale.
Sul segmento FAST, l’approfondimento è sul mercato USA, dove Roku, Pluto TV (Paramount), Tubi (Fox) e Peacock (Comcast) appaiono i leader di mercato sia in termini di spettatori –Pluto, lanciata in USA nel marzo 2020, ha superato una soglia simbolica dell’1% degli ascolti Nielsen nel settembre 2022 – sia in termini di ricavi pubblicitari, una leadership attuale e futura (previsione a 3 anni).
Se il numero di canali presente su una piattaforma di streaming non è indice di successo della stessa, di certo contribuisce a costituire un plus per attrarre potenziali nuovi utenti e per trattenere gli esistenti all’interno del servizio, commenta poi il rapporto. Tuttavia il grafico sul numero di servizi trasportati dalla piattaforma streaming in USA indica che Roku è di gran lunga leader in USA con 339 canali, e che Peacock è ultimo nella top ten per offerta con 51: ma il grafico accanto, sulla permanenza media sul servizio sembra premiare Peacock, con Roku in flessione. Si tratta dei due operatori con le prospettive di crescita (di ricavi pubblicitari) più alte nel mercato USA: altre variabili, come il first mover advantage, il brand, la library sembrano influire anch’esse e non esiste una formula semplicistica in questo mercato che in USA già maturo e molto competitivo. Il mercato FAST è quello in cui la TV gioca un’importante partita di monetizzazione della propria extention (di brand e contenuti) nell’online.
In generale, è il commento del rapporto, il mercato dello streaming appare sempre più affollato, “frustrante” per i consumatori e a un bivio per gli operatori. E potrebbe vedere in modelli one-stop- shop/aggregativi la formula vincente.
Digital, nuove geografie. Concludiamo con un’ultima mappa, relativa al settore denominato “digital” nel rapporto, di estremo interesse, a nostro parere, per le componenti in cui è scomposto: in particolare, accanto a segmenti più noti e consolidati del “digital” appaiono altri – livestream e influencer content, social video – che già hanno un impatto sul business televisivo. Si conferma la presenza, accanto alle big tech statunitensi “incumbent”, trasversale di alcuni operatori, anch’essi ormai non più emergenti, come TikTok (Bytedance). Più in generale nell’area “digital”, dove tutti gli attori hanno una presenza significativa nel digital advertising, appaiono altre aree di business, i marketplace (accanto a Amazon, Alibaba) e nuove geografie, con una forte presenza – soprattutto in Asia, ma non solo – di società cinesi (oltre a Bytedance, Tencent, Baidu e Alibaba appunto).
Il commento di Variety rileva appunto una presenza trasversale di TikTok accanto agli “incumbent”, ossia in primis Alphabet, Meta e Amazon: trasversale significa in questo caso che copre diversi segmenti di business: a fronte del presidio capillare di Alphabet (Google) in tutte le aree, segue Meta (Facebook, escluso solo dal segmento app store) e Bytedance (TikTok) presente in 6 su 8. Quello delle geografie dello sviluppo digitale è un tema più ampio della mera concorrenza, come provano i recenti divieti dell’utilizzo di TiTok nelle PA di vari Paesi (incluso il nostro), alla ribalta della cronaca in questui giorni; e ulteriori preoccupazioni per gli impatti e sviluppi (si pensi alla gestione e trattamento dei dati, alla privacy, agli utilizza della IA, per citarne alcuni).
Il rapporto lancia lo sguardo al futuro e in particolare al 2023 e ricorda la grande espansione del digital durante la pandemia, il contraccolpo subito nel post Covid e vede il 2023 come anno test cruciale per la resilienza del business model dello streaming. Per tutti, aggiungiamo noi, anche per la tv.