Valutazione alla luce del piano USA e maggiori criticità. Il 9 aprile l’Eurogruppo ha dato il via libera al SURE (lanciato dalla Commissione europea Il 2 aprile) che, una volta approvato dal Consiglio europeo e implementato, fornirà prestiti (per un valore complessivo fino a 100 miliardi) a condizioni agevolate agli stati membri che adottino misure fiscali a sostegno dell’occupazione, quali il potenziamento di programmi di integrazione salariale in caso di riduzione degli orari di lavoro, come la Cassa Integrazione Guadagni (CIG) in Italia. Di seguito un confronto della misura UE con il meccanismo USA di sostegno ai disoccupati, riprendendo le considerazioni svolte da Confindustria in uno studio comparato dedicato ai vari meccanismi di sostegno, anche alla luce dei nodi critici dei tempi di erogazione e della necessità immediata di liquidità alle imprese per sostenere la crisi indotta da Coronavirus e impostare la ripartenza.
Cosa come e perché. Il SURE (Support to mitigate Unemployment Risks in an Emergency) è uno strumento di assistenza finanziaria della UE. Riducendo il costo del lavoro aziendale, questi schemi favoriscono la continuità occupazionale anche in fasi di riduzione, totale o parziale, dell’attività. L’obiettivo è quello di preservare posti di lavoro, e con essi la capacità produttiva e il capitale umano delle imprese.
I Paesi membri potranno richiedere un prestito SURE per coprire aumenti nella spesa pubblica, intercorsi dal 1° febbraio 2020, legati all’estensione di schemi nazionali di Short-Time work Compensation (STC) o di misure analoghe di sostegno al reddito dei lavoratori autonomi introdotte in risposta all’emergenza sanitaria. La Commissione, insieme allo stato membro, definirà le condizioni del prestito (ammontare, tasso di interesse, durata ecc.) e successivamente presenterà la proposta di finanziamento al Consiglio europeo per l’approvazione definitiva.
Per reperire le risorse da prestare agli stati, la UE a sua volta si indebiterà sui mercati finanziari dove presumibilmente riuscirà a indebitarsi a condizioni piuttosto favorevoli, e sarà quindi in grado di prestare ai paesi con un più basso rating creditizio (ad esempio l’Italia) a tassi inferiori a quelli che essi dovrebbero riconoscere agli investitori. Affinché i titoli emessi dalla UE per finanziare il SURE godano di un elevato rating, essi saranno garantiti da tutti gli stati membri (in proporzione al PIL di ciascuno). Tali garanzie saranno emesse su base volontaria e lo strumento entrerà in funzione solo una volta che tutti gli stati si saranno impegnati a fornire queste garanzie, che dovranno raggiungere un importo minimo pari a 25 miliardi. Nella proposta della Commissione sono specificati dei limiti all’ammontare di ciascun prestito, in modo da evitare una loro concentrazione eccessiva: i primi tre paesi beneficiari non potranno infatti ottenere più del 60% del totale delle risorse disponibili.
Il lancio del SURE è un’iniziativa coordinata a livello europeo e, come detto, può essere utile per Paesi con un minore merito di credito, che potranno beneficiare di risparmi significativi sulla loro spesa per interessi. In questo senso appaiono simili per meccanismo ai tanto discussi Eurobond. In realtà le risorse erogate dal SURE agli stati membri si configurano comunque come prestiti, contabilizzati come debito pubblico nazionale, che andranno ripagati successivamente. Nell’accezione più diffusa del termine, invece, le risorse raccolte tramite Eurobond ed erogate ai Paesi membri si configurano come trasferimenti, e non contribuiscono quindi ad aumentare il debito pubblico nazionale.
La via americana. Il 27 marzo il presidente americano ha firmato il Coronavirus Aid, Relief, and Economic Security Act (CARES Act), un pacchetto emergenziale di 2,3 trilioni di dollari (pari all’11% del PIL), il più ampio della storia americana, di cui oltre 250 miliardi volti a estendere durata, generosità e platea del sistema di Unemployment Insurance (UI), per sostenere la capacità di spesa delle famiglie anche in caso uno o più componenti abbiano perso il lavoro a causa della crisi. Se le risposte di politica economica di Stati Uniti e Unione europea sono confrontate rispetto alla loro capacità di sostenere i redditi delle famiglie, quella americana domina sotto diversi aspetti, sicuramente per entità e immediatezza. Le estensioni dei sussidi di disoccupazione sono generose (l’assegno aumenta di 600 dollari a settimana e la durata di due mesi) e immediatamente operative perché canalizzate tramite i programmi di UI statali (non sfugga che in USA siamo in piena campagna presidenziale, ndr). Tuttavia gli interventi partono da presupposti opposti e potrebbero avere effetti molto diversi in uscita dalla crisi.
UE vs USA. La risposta degli Stati Uniti pare fondarsi sul presupposto che la disoccupazione ineluttabilmente aumenterà. Al contrario, gli sforzi dell’Unione europea si concentrano sull’obiettivo di scongiurare aumenti eccessivi della disoccupazione.
Lo sforzo europeo, volto a preservare posti di lavoro, è una strategia efficiente in questa fase transitoria di sospensione forzata delle attività lavorative. Evitando gli esuberi, infatti, si preservano anche la capacità produttiva e il capitale umano delle imprese e dell’economia nel suo complesso, rendendo il sistema più pronto a cogliere i primi segnali di ripartenza.
Iniziare a pensare alle politiche attive per la ripartenza. Come sottolinea Confindustria nella sua analisi comparata dei meccanismi di sostegno alla disoccupazione/reddito da lavoro implementati dai vari stati Membri, la UE e gli USA, da un lato ci saranno inevitabilmente ristrutturazioni profonde che coinvolgeranno aziende e interi settori. In vista di questa seconda fase, serve dunque fin da ora un ripensamento del sistema di welfare europeo volto a favorire la mobilità dei lavoratori e il rafforzamento non solo di programmi di sostegno al reddito (quali i sussidi di disoccupazione). In vista di questa seconda fase, appare importante che il SURE, nelle intenzioni della Commissione, non sostituisca il regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione annunciato in precedenza dalla Ue; anzi, la Commissione europea si è impegnata ad accelerare l’elaborazione della proposta legislativa relativa a un regime europeo di riassicurazione contro la disoccupazione.
Sarà inoltre cruciale investire anche nel rafforzamento delle politiche attive, in primis quelle di formazione e riqualificazione professionale, per fornire nuove competenze ai lavoratori che dovranno transitare verso occupazioni diverse a quelle precedentemente svolte.
Il nodo urgente della liquidità e il ruolo del Fondo di Garanzia. Altro punto critico è la necessità di mobilitare urgentemente la liquidità per imprese, lavoratori, di tutti i tipi, consumatori. Con lo shock dovuto alla diffusione del Covid-19, da febbraio 2020 moltissime imprese in Italia stanno subendo un crollo dei fatturati, che prosciuga la loro liquidità, a fronte di esborsi che restano necessari (fornitori, dipendenti, fisco, banche). Così il Centro Studi di Confindustria nel Focus diffuso venerdì scorso, si rischia una crisi di solvibilità nel settore produttivo, anche per imprese con bilanci solidi prima del Covid-19.
Ingenti risorse pubbliche subito per fornire oggi liquidità alle imprese e rendere possibile la ripartenza. Confindustria suggerisce in particolare un ruolo potenziato del Fondo di Garanzia, per aumentare la concessione dei prestiti bancari alle imprese. Secondo le stime dell’Ufficio studi tali garanzie possono avere una “leva“ di 1 a 14, per ogni euro di garanzia pubblica concessa possono generarsi 14 euro di prestiti alle imprese.