Si procede, fra doppi binari e nuove scadenze. La questione della tassazione dell’economia digitale è di nuovo al centro del dibattito internazionale: l’unica convergenza ad oggi è su una nuova scadenza che l’OCSE si è data, giugno 2021 – in tempo per il prossimo incontro del G20, che si svolgerà dal 7 al’11 luglio a Venezia, sotto la Presidenza italiana- per una soluzione multilaterale. È una scadenza a cui guardano tutti: UE, USA e gli Stati che hanno introdotto delle norme nazionali (fra cui Italia, Francia e Austria in Europa) di cui molte, almeno a livello UE, con una clausola di disapplicazione automatica in favore proprio delle disposizioni OCSE. Ma per il resto l’Unione Europea apre il nuovo fronte del prelievo digitale (digital levy), una norma che si aggiunge, sembrerebbe, a quelle che verranno definite a livello OCSE, e con esse integrata e coordinata, e indice al riguardo una consultazione pubblica che si chiuderà in aprile: la nuova imposta farà parte delle risorse che serviranno a finanziare la ripresa europea (programma Next Generation EU) e vedrà la luce nel 2023, nelle intenzioni della Commissione che ha ricevuto il mandato dal Consiglio dell’Unione. Dal canto loro gli USA, dopo aver fatto un’apertura (ritiro della richiesta di safe harbor per le imprese digitali), attribuita al nuovo corso di rapporti internazionali dell’era Biden, attraverso lo US Trade Department perseguono i Paesi che hanno introdotto forme di imposte sui servizi digitali ritenute discriminatorie per le aziende tecnologiche statunitensi: l’indagine, aperta su 10 giurisdizioni, ha ad oggi prodotto 6 notifiche (fra cui Austria, Italia, Spagna, Turchia e Regno Unito in Europa, il dossier aperto con la Francia è in fase più avanzata). L’Italia infine, dopo aver introdotto e resa applicabile l’imposta sui servizi digitali da quest’anno (si ricorda che una prima norma, mai applicata e in seguito modificata, era prevista già nella legge di bilancio 2018), continua a rimandarne le scadenze, da ultimo nel decreto sostegno.
I fatti “certi” ad oggi sono: in ambito OCSE si sta lavorando dal 2013 su due pilastri: la tassazione dell’economia digitale (con tutte le problematiche relative alla presenza digitale significativa, i servizi tassabili e in che forma/misura) e il BEPS (Base Erosion Profit Shifting) volto, come suggerisce il nome a reintegrare la base imponibile erosa agli erari nazionali attraverso meccanismi elusivi messi in atto dalle multinazionali. È di ieri l’intervento di Pascal Saint-Amans, direttore del centro di politica e amministrazione fiscale dell’Ocse, durante l’audizione (nell’ambito dell’indagine conoscitiva sulla riforma dell’Irpef alle commissioni riunite Finanze di Camera e Senato) che ha detto che l’accordo sulla imposta sui servizi digitali arriverà entro la fine dell’anno e potrebbe essere siglato a luglio durante il G20 a Venezia. Il direttore ha aggiunto che è importante che le imprese con ampi profitti e che si sono avvantaggiate della crisi (il riferimento è a un intervento OCSE ad inizio pandemia, di cui abbiamo conto) vengano tassate dove svolgono le loro. Riguardo al secondo pilastro, ha aggiunto che l’OCSE ha lavorato su una tassa minima mondiale sulle imprese e ha indicato che tale tassa, introdotta negli Stati Uniti dal 2017 al 17,5%, verrà aumentata al 21% da Biden.
Per quanto riguarda l’Unione Europea, la volontà politica di introdurre una tassazione digitale è stata espressa più volte da diversi organismi .Il Consiglio a valle dell’ultimo vertice della scorsa settimana ha ribadito “la forte preferenza e impegno per una soluzione globale sulla tassazione digitale internazionale entro la metà del 2021 nel quadro dell’Ocse”, ma confermato che “l’Unione europea sarà pronta ad andare avanti se non si prospetta una soluzione globale”. Sul prelievo digitale la Commissione ha pubblicato una valutazione di impatto, su cui ha richiesto commenti e una consultazione, che scadrà il 12 aprile. Da tale valutazione risulta che “lo scenario di base terrà conto degli sviluppi a livello internazionale e la Commissione individuerà ulteriori opzioni strategiche, quali: una maggiorazione dell’imposta sul reddito delle società da applicare a tutte le società che conducono determinate attività digitali nell’UE; una tassa sui ricavi creati da determinate attività digitali condotte nell’UE; una tassa sulle transazioni digitali condotte da impresa a impresa nell’UE”. Secondo la Vicepresidente esecutiva con delega al Digitale Margrethe Vestager, la Commissione europea è sulla buona strada con i piani per presentare una tassa digitale entro giugno. Pochi giorni fa il Parlamento europeo ha votato una risoluzione che chiede di aggiornare con urgenza la normativa fiscale internazionale ribadendo che qualora i negoziati internazionali falliscano l’Ue dovrebbe perseguire l’obiettivo da sola.
Negli USA il Rappresentante per il commercio ritiene che la tassa sui servizi digitali adottata o in fase di attuazione sia discriminatoria nei confronti delle aziende digitali americane, onerosa per le aziende degli Stati Uniti e violi i principi della tassazione internazionale. Su dieci giurisdizioni poste sotto inchiesta con la procedura prevista dalla Section 301 (Austria, India, Italia, Spagna, Turchia e Regno Unito, Repubblica Ceca, Brasile, Unione Europea, Indonesia) per le prime sei, che hanno adottato le norme, si passa ad uno “stadio successivo” che potrebbe prevedere sanzioni commerciali, inclusa l’imposizione di dazi. Inchieste di questo tipo si concludono di norma in un anno: avviatasi nel giugno 2020, dovrebbe risolversi nel giugno 2021 (di nuovo ricorre la scadenza, ndr). Gli Stati Uniti, pur confermando l’impegno a raggiungere un accordo internazionale sui temi fiscali internazionali tramite l’Ocse, lasceranno aperta la procedura.
In Italia con comunicato del 24 marzo l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la Circolare n. 3/E – pdf sull’imposta sui servizi digitali con nuovi chiarimenti interpretativi. La circolare tiene conto del fatto che il Decreto Legge n. 41 del 22 marzo 2021 (Dl Sostegni) sposta i termini per il versamento al 16 maggio 2021. La circolare fornisce indicazioni per l’individuazione della platea dei soggetti interessati dall’imposta, (soglie dimensionali, nozione di impresa e definizione di gruppo); l’ambito di applicazione oggettivo, con particolare riferimento al contenuto di ciascuno dei servizi digitali assoggettati ad imposta (veicolazione di pubblicità mirata, messa a disposizione di interfacce digitali che mettono in contatto gli utenti favorendone l’interazione o facilitando la fornitura diretta di beni o servizi, trasmissione di dati raccolti da utenti e generati dall’utilizzo di un’interfaccia digitale) e per facilitarne la corretta individuazione rappresenta una serie di fattispecie esemplificative. La circolare affronta anche il tema della geolocalizzazione per determinare la proporzione di ricavi imponibili in Italia e illustra le modalità di determinazione della base imponibile e di eliminazione di eventuali fenomeni di imposizione “a cascata” (modelli di business che coinvolgono più soggetti passivi d’imposta); tocca infine questioni relativa a oneri strumentali e solidarietà, contabilità e sanzioni.