Secondo gli addetti ai lavori della Commissione, l’annuncio del codice di condotta rafforzato sulla disinformazione della Commissione è previsto per il prossimo 16 giugno. Si ricorda che l’attuale codice stabilisce doveri non vincolanti e che si basano interamente sull’azione volontaria delle piattaforme nell’ambito della disinformazione, della trasparenza e della pubblicità politica. CRTV aveva seguito la gestazione di tale codice e criticato, come del resto in seguito anche diversi organi istituzionali (di recente, ancora in periodo pre-bellico, un rapporto della Corte dei Conti UE), la sua inefficacia, pochè di fatto una lista di doveri assunti volontariamente e basati sulle best practice aziendali – e, come tali non comparabili – oltre ad essere limitati in scopo (comunicazione politica, contenuti dannosi e per stakeholder coinvolti. La disinformazione corre soprattutto online, come hanno dimostrato diversi monitoraggi, anche italiani, per es. di Agcom in periodo Covid), dove oltre alla facile manipolabilità e “ottimizzazione delle notizie” (“more of the same” su base algoritmica), c’è il tema, fondamentale, della mancanza di responsabilità e atrtribuibilità delle affermazioni. Si ricorda anche che Agcom aveva creato un tavolo dedicato al tema, al quale aveva partecipato CRTV.
La versione 2.0, che dovrebbe entrare in vigore all’inizio del 2023, fa un ulteriore passo avanti e segue un “approccio di coregolamentazione” (ancora non vincolante, tuttavia), come richiesto, fra gli altri, dall’ ERGA, in cui aziende, gruppi della società civile e funzionari stabiliscono un elenco di impegni e possono essere ritenuti responsabili qualora non riescono a portarli a termine. Le questioni trattate nel nuovo codice devono ancora essere svelate, ma per certo includerà i KPI (Key Performance Indicators) che aiuteranno la valutazione e comparazione.
Il Codice farà riferimento sia al DSA, sia alla proposta sulla trasparenza della comunicazione politica. L’intento della nuova versione è che le imprese adempiano agli obblighi di valutazione dei rischi previsti dal regolamento, aderendo al codice.
Big Telco contro Big Tech: una vecchia battaglia torna in prima linea. La lobby delle telecomunicazioni GSMA afferma che esistono squilibri di mercato tra gli operatori di rete ei fornitori di servizi online, che incidono sulle prospettive di crescita. Un’altra associazione europea delle tlc, ETNO, è del parere che, pur generando costi di rete, “i giganti della tecnologia non contribuiscono in modo equo allo sviluppo delle reti di telecomunicazioni”. Le telco sostengono che i servizi di piattaforma con traffico elevato non hanno sostenuto i costi dell’espansione delle reti di cui hanno beneficiato. Mentre i ricavi dei servizi online sono cresciuti in modo esponenziale, gli operatori di rete hanno dovuto affrontare un ritorno sull’investimento infrastrutturale troppo basso. La richiesta che ne consegiue è che i responsabili politici tengano conto dell'”interdipendenza dei servizi online e di altri settori in crescita dagli investimenti infrastrutturali sottostanti”.
La controparte, la lobby delle big tech CCIA si oppone con forza a queste affermazioni, accusando le telco di una logica “fondamentalmente fuorviata” e “equivalente a quella delle società energetiche che cercano di riscuotere compensi dai produttori di elettrodomestici per l’uso energetico delle lavatrici, mentre ai consumatori sono già addebitato i costi per la quantità effettiva di energia utilizzata”.
Si riporta questo scambio di posizioni perché il Commissario UE per il Mercato Interno Breton ha recentemente affermato che “le telecomunicazioni stanno investendo, le autorità pubbliche stanno investendo” e quindi “è giusto che gli attori digitali che beneficiano della trasformazione digitale contribuiscano anche ai costi di realizzazione delle infrastrutture che lo rendono possibile“.