La riunione dei Ministri Economici della UE (Ecofin) si è conclusa ieri con un congelamento della norma sui servizi digitali. La discussione verteva su un testo di compromesso che limitava il campo di applicazione ai servizi pubblicitari digitali, a valle delle indicazioni emerse nel Consiglio Ecofin del 4 dicembre: il Consiglio ha dovuto prendere atto che “nonostante l’ampio sostegno al testo da parte di numerosi Stati membri, alcune delegazioni mantengono riserve su alcuni aspetti specifici della proposta o obiezioni più fondamentali. La presidenza ha dichiarato che porterà avanti i lavori sulle posizioni della UE nelle discussioni a livello internazionale: il riferimento è all’OCSE, nell’ambito delle azioni per combattere l’erosione della base imponibile (BEPS) in vista della relazione in materia di imposta sul digitale che dovrebbe essere presentata entro la prima metà del 2020.
Niente web tax per questa consiliatura UE quindi, se ne riparla forse alla prossima, come fa intendere il Commissario Valdis Dombrovskis, Vicepresidente con deleghe nell’ambito finanziario, che a commento dei risultati dell’Ecofin, ha espresso il rammarico della Commissione, ha ribadito la propria preoccupazione per la frammentazione del mercato unico che potrebbe derivare dall’adozione di regole nazionali da parte di alcuni stati Membri (fra cui l’Italia,si v.oltre) e ha sottolineato che la Commissione continuerà a prendere parte attiva alla conversazione globale in materia (sempre OCSE).
“Speriamo anche che i Paesi dell’UE parlino con una sola voce nelle sedi internazionali. Questo è importante, perché la nostra economia sta diventando sempre più digitale e quindi i nostri sistemi fiscali – sempre più obsoleti” ha commentato nel comunicato Dombrovskis.
Il tema quindi decade dall’Agenda UE dopo l’accelerazione impressa al dibattito dal settembre 2017, nel famoso vertice di Tallin. Da allora la Commissione aveva lavorato ad una azione declinata in due iniziative, eventualmente complementari e successive, volte all’introduzione di norme strutturali (riforma delle le norme relative all’ imposta sulle società) e norme ponte (imposta temporanea sulle principali attività digitali).
In alcuni momenti il fronte a favore, che raggruppava molti Stati Membri, fra cui i mercati di maggiori dimensioni, avevano fatto ritenere che si potesse approdare a un accordo, eventualmente bypassando la regola dell’unanimità richiesta in materia fiscale (cosiddetta “clausola passerella” e Comunicazione specifica della Commissione nel Gennaio scorso).
Si rimanda tutto ai nuovi referenti UE – in Parlamento, post elezioni di maggio e in Commissione in rinnovo ad ottobre. Del resto un intervento in periodo pre elettorale, oltre alla riserve presentate da diversi stati che avevano beneficiato del ruling (accordi per fiscalità di favore con grosse multinazionali) avrebbe potuto scatenare una accesa campagna contro delle multinazionali del web e, secondo alcuni, addirittura ritorsioni da parte degli USA. Tutto perso dunque? Non proprio.
Sono diversi i Paesi che stanno approvando norme in materia di fiscalità digitale, ne abbiamo parlato in un precedente articolo. All’interno del perimetro UE (ma non solo, anche il Regno Unito della Brexit) sono diverse le proposte che ricalcano quanto negoziato all’interno dell’Unione. L’Italia fra tutti appare il Paese più avanzato, la norma è stata approvata (art. 1 commi 35-52 della Legge di bilancio 2019), manca la decretazione attuativa, da approvare entro il 30 aprile di quest’anno. Le disposizioni abrogano la normativa precedente, anch’essa inserita in Legge di bilancio (2018) che non ha mai avuto attuazione. Ma il Regno Unito potrebbe applicarla prima, si parla del 2020. Si segnala inoltre che il Regno Unito aggiunge quest’ultima a un’altra disposizione, la diverted profit tax (approvata ne 2015). Di seguito uno specchietto delle iniziative in itinere in alcuni dei maggiori mercati europei, sulla base delle nostre informazioni.
Ma secondo dati diffusi in questi giorni, progetti analoghi a quelli UE sono stati presentati in Ungheria, o in forme diverse di imposte sui servizi digitali (Singapore, Australia, Malesia), o sotto forma di ritenuta alla fonte (Pakistan, Thailandia, Sri Lanka, Cile, Brasile, Ecuador).
Per una ricostruzione storica del dibattito sulla fiscalità digitale si veda anche lo speciale di CRTV .