1,49 miliardi di euro per violazione delle norme antitrust: questa la multa inflitta dalla Commissione UE a Google che, abusando della propria posizione dominante sul mercato, e imponendo clausole restrittive nei contratti con siti web di terzi, ha impedito ai concorrenti di inserire su tali siti pubblicità collegate alle ricerche.
La violazione si è svolta per 10 anni (2006-2016) attraverso il servizio Adsense fornito ai proprietari di siti publisher come piattaforma di intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca. Le pratiche abusive si sono esplicitate tramite: l’introduzione di clausole di esclusiva nei contratti con i publisher, individualmente stipulati (la Commissione ha esaminato centinaia di tali accordi); le esclusive sono state poi sostituite, a partire dal marzo 2009 da clausole di “posizionamento premium”, che imponevano ai publisher di riservare agli annunci di Google lo spazio più redditizio sulle pagine dei risultati di ricerca e prevedere un numero minimo di tali annunci. Sempre dal marzo 2009 Google ha previsto infine clausole che imponevano ai publisher di chiedere l’autorizzazione scritta di Google prima di modificare la visualizzazione dei messaggi pubblicitari dei concorrenti.
Ossia Google poteva controllare l’attrattiva dei messaggi pubblicitari inseriti dai concorrenti, e i click ricevuti.
Tali pratiche, peraltro mutate nel tempo, presumibilmente in risposta alle prime indagini avviate dalla Commissione UE, hanno interessato oltre la metà del mercato in termini di fatturato per la maggior parte del periodo indicato, secondo le stime della Commissione.
“Con una quota di mercato superiore al 70 %, tra il 2006 e il 2016 Google è stato di gran lunga l’attore più forte nell’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca nello Spazio economico europeo (SEE). Nel 2016 Google ha inoltre detenuto quote generalmente superiori al 90 % nei mercati nazionali della ricerca generica e superiori al 75 % nella maggior parte dei mercati nazionali della pubblicità collegata alle ricerche”. Detenere una posizione dominante non è di per sé illegale ai sensi delle norme antitrust dell’UE, ma tale posizione implica la speciale responsabilità di non abusarne per limitare la concorrenza, cosa che si è verificata con le pratiche esaminate.
L’ammenda della Commissione di 1 494 459 000 € (1,29 % del fatturato di Google nel 2018) tiene conto della durata e della gravità dell’infrazione ed è stata calcolata sulla base del valore delle entrate di Google provenienti dall’intermediazione pubblicitaria nei motori di ricerca nello SEE.
Google ha messo fine alle pratiche illegali alcuni mesi dopo che la Commissione aveva emesso, nel luglio 2016, una comunicazione degli addebiti riguardanti il caso. La decisione impone a Google di porre fine al suo comportamento illegale, e nella misura in cui non lo abbia già fatto, di astenersi da qualsiasi misura “avente oggetto o effetto identico o equivalente”. Google potrebbe anche dover rispondere in procedimenti civili di risarcimento di danni intentati dinanzi alle autorità giudiziarie degli Stati membri, aggiunge il comunicato.
Si ricorda che nel giugno 2017 la Commissione aveva inflitto a Google un’ammenda di 2,42 miliardi di € per abuso di posizione dominante, come motore di ricerca, poiché conferiva un vantaggio illegale al proprio servizio di acquisti comparativi; nel luglio 2018 un’ammenda di 4,34 miliardi di € per pratiche illegali sui dispositivi mobili Android volte a rafforzare la posizione dominante del motore di ricerca di Google.
“Il comportamento scorretto è durato oltre 10 anni e ha negato ad altre società la possibilità di competere nel merito e di innovare – e i consumatori i benefici della concorrenza ” ha detto la Commissaria della Concorrenza Margrethe Vestager che ha ricordato che è in attesa di un rapporto di tre consulenti speciali sulla concorrenza nel futuro all digital.