Tassazione digitale. Si è svolta a Sofia il 27 e 28 Aprile, la riunione dei ministri finanziari della UE: nella seconda giornata si è discusso, fra l’altro, di tassazione digitale. Nonostante il tentativo di accelerazione impresso dalla Commissione UE, che nella more della negoziazione internazionale ha proposto, già dallo scorso autunno su iniziativa di alcuni Stati Membri, un provvedimento temporaneo di tassazione dei fatturati generati nei diversi mercati nazionali, i ministri non hanno raggiunto un accordo. Anzitutto per l’opposizione di alcuni dei mercati minori, fra questi, ovviamente, Irlanda, Malta, Cipro e Lussemburgo che a suo tempo avevano fatto degli accordi (ruling) per favorire l’insediamento dei grandi operatori della Rete. Ma anche per l’attendismo di altri, fra questi ad es. la Germania, che teme che una tassa sul fatturato possa penalizzare le imprese digitali nazionali, o il Regno Unito in fase pre-Brexit. Altri Paesi invece procedono autonomamente – quello che la Commissione aveva maggiormente paventato cercando di proporre una misura comune o almeno condivisa fra alcuni; o meglio “annunciano di procedere autonomamente”: è il caso dell’Italia, il cui progetto di una tassazione temporanea, previsto nell’ultima legge di bilancio, attende una decretazione attuativa (oggi scade il termine, fortunatamente non perentorio); o della Spagna, il cui ministro delle finanze nel consesso internazionale ha annunciato di voler procedere con una normativa ad interim.
In questo avanzamento in ordine sparso le uniche certezze al momento provengono dall’OCSE, presente anch’essa all’Ecofin, come osservatore. Il famoso “blueprint”, il progetto per recuperare la Base Imponibile Erosa o Deviata (BEPS nell’acronimo inglese), atteso per il 2020, potrebbe vedere la luce già nel 2019. Soprattutto l’Organizzazione internazionale di recente ha annunciato una prima implementazione della convenzione multilaterale sul BEPS che trasformerà gradualmente tutte le convenzioni bilaterali fra gli Stati, un progetto ambizioso già sottoscritto, nelle intenzioni da oltre 100 Paesi: a fine marzo l’OCSE ha celebrato l’implementazione da parte dei primi 5 Paesi, tutti dell’area europea, entrati a far parte dell’accordo multilaterale: Austria, Slovenia, Isle of Man, Jersey, Polonia).
Resta il divario, enorme, fra quanto pagato dagli OTT in UE, una tassazione irrisoria ben più bassa anche di quella nominalmente assunta nei ruling (es. l 12,5% dell’Irlanda), e i ricavi e i profitti generati da queste multinazionali del web: si parla centinaia di miliardi di dollari come testimoniano le trimestrali chiuse da poco, con margini di profitto in continua crescita a danno dell’industria continentale. Un tema urgente, che sottrae risorse agli erari nazionali e mina alla base il principio di equità e la sana competizione, che CRTV non ha mancato di sottolineare in tutte le sedi politiche e istituzionali per l’impatto che gli OTT hanno sul settore radiotelevisivo.