UE Tassazione digitale. Riforma delle imposte sulle società (base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società CCTB e base imponibile consolidata comune per l’imposta sulle società, CCCTB) che include i dati personali fra gli asset da computare per la base imponibile e parametri per determinare la presenza digitale significativa come proposta strutturale e un’imposta temporanea sulle principali attività digitali nelle more della negoziazione internazionale bi e multilaterale: queste le proposte presentate dalla Commissione Europea il 21 marzo. I fondamentali della proposta strutturale (data factor e presenza digitale) erano stati preannunciati nel testo che era stato adottato pochi giorni fa dal Parlamento UE sulla riforma della tassazione societaria, il cui iter di revisione era partito nel novembre 2016.
Il trilogo (Commissione proponente, Consiglio e Parlamento UE) aveva individuato in tale riforma un possibile strumento per introdurre un primo aggiornamento e allineamento a livello UE della tassazione delle attività digitali: il testo della Commissione stabilisce parametri meno stringenti di quelli proposti dal Parlamento, per andare ad incidere sugli operatori multinazionali più grandi e non inibire lo sviluppo delle nuove imprese digitali della UE. La seconda proposta risponde alle richieste di numerosi Stati membri di istituire un’imposta temporanea da prelevare sulle principali attività digitali, che al momento sfuggono a qualsiasi tipo di imposizione all’interno dell’Unione Europea.
A differenza della riforma sulla normativa fiscale “questa imposta indiretta si applicherebbe ai ricavi generati da determinate attività digitali che sfuggono completamente al quadro fiscale attuale. Tale sistema si applicherà solo a titolo temporaneo, fino all’attuazione di una riforma globale integrata da meccanismi che limitino la possibilità della doppia imposizione” recita il comunicato.
Riforma fiscale: revisione direttive CCTB e CCCTB
Questa proposta consentirebbe agli Stati membri di tassare gli utili generati sul loro territorio, anche nel caso in cui una società non vi abbia una presenza fisica, equiparandole alle imprese tradizionali. Con le nuove norme le imprese online contribuirebbero alle finanze pubbliche allo stesso livello delle imprese tradizionali.
Sarà considerata una “presenza digitale” imponibile o una stabile organizzazione virtuale in uno Stato membro un’attività che soddisfi uno dei seguenti criteri:
– almeno 7 milioni di euro di ricavi annuali in uno Stato membro;
– più di 100.000 utenti in uno Stato membro in un esercizio fiscale;
– oltre 3.000 contratti commerciali per servizi digitali conclusi tra l’impresa e utenti aziendali in un esercizio fiscale.
Le nuove norme cambieranno anche il modo in cui gli utili sono attribuiti agli Stati membri, in modo da riflettere meglio le modalità con cui le imprese possono creare valore online: ad esempio in funzione del luogo in cui l’utente si trova al momento del consumo e con la creazione di un one stop shop a livello UE per i bilanci consolidati, che tenga conto del luogo in cui il valore è creato.
Imposta temporanea su determinati ricavi di attività digitali
L’imposta temporanea è tesa a garantire che le attività attualmente non tassate inizino a generare un gettito immediato per gli Stati membri che hanno visto la loro base imponibile erosa; oltre a scongiurare l’adozione di misure unilaterali da parte di alcuni Stati membri, che andrebbero a detrimento della certezza del diritto e del coordinamento nel mercato unico.
L’imposta si applicherà ai ricavi ottenuti dalle attività in cui gli utenti svolgono un ruolo fondamentale nella creazione di valore, i più difficili da quantificare con le norme fiscali attuali, come ad esempio i ricavi:
– generati dalla vendita di spazi pubblicitari online;
– generati da attività di intermediazione digitale;
– ottenuti dalla vendita di dati generati da informazioni fornite dagli utenti.
L’imposta sarà riscossa dagli Stati membri in cui si trovano gli utenti e si applicherà solo alle imprese con ricavi annui complessivi a livello mondiale superiori a 750 milioni di euro e ricavi nell’UE superiori a 50 milioni di euro, a tutela delle “start-up e le scale-up più piccole ” che saranno esonerate dall’imposta. Secondo le stime, se sarà applicata un’aliquota del 3%, l’imposta potrà generare entrate per gli Stati membri dell’ordine di 5 miliardi di euro l’anno.
Il veicolo legislativo consta di due direttive del Consiglio, sulla base di:
- l’art. 115 del trattato, che prevede una procedura legislativa speciale (votazione all’unanimità del Consiglio), previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale, per “direttive volte al ravvicinamento delle disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri che abbiano un’incidenza diretta sull’instaurazione o sul funzionamento del mercato interno” per la misura strutturale;
- l’art. 133, che prevede un’analoga procedura speciale (Il Consiglio, unanimità previa consultazione del Parlamento europeo e del Comitato economico e sociale), per adottare “le disposizioni che riguardano l’armonizzazione delle legislazioni relative alle imposte sulla cifra d’affari, alle imposte di consumo ed altre imposte indirette, nella misura in cui detta armonizzazione sia necessaria per assicurare l’instaurazione ed il funzionamento del mercato interno ed evitare le distorsioni di concorrenza”.
Come detto in precedenza le direttive partono dal voto positivo recentemente espresso dal Parlamento (Relazione sulle proposte di direttiva CCTB e CCCTB, che vanno in questa direzione), indicando una volontà politica maggioritaria all’interno dell’Unione. Le direttive in questione peraltro godrebbero di una corsia preferenziale anche nell’entrata in vigore (20 gg. dalla pubblicazione in Gazzetta UE, adozione delle misure statali di recepimento entro il 2019 con entrata in vigore il 1 gennaio 2020).
Le misure sono accompagnate da una raccomandazione a rivedere i trattati bilaterali con i Paesi Terzi, una comunicazione al Parlamento sulla tassazione moderna e digitale insieme a una valutazione di impatto. La criticità, vista la procedura, è il raggiungimento dell’unanimità ed è nota la posizione critica di alcuni Paesi (es. Cipro, Irlanda, Olanda, Lussemburgo, Malta) che hanno in passato sfruttato le scappatoie fiscali attraverso accordi speciali (ruling). Tuttavia, anche su questi accordi le maglie della UE si sono strette nel tempo – sanzioni, nuove norme armonizzative per evitare i ruling e, da ultimo con questo pacchetto, previsione della ripartizione della tassazione (societaria, ricavi) sulla base dei proventi digitali generati nei singoli stati, a prescindere dalla localizzazione della sede principale sul territorio. In caso di mancato accordo, il blocco dei nove Paesi firmatari di una lettera di sollecito indirizzata al Consiglio dello scorso autunno potrebbero decidere di procedere autonomamente.
La soluzione a lungo termine è quella preferita dalla Commissione; misure anche temporanee si rendono tuttavia necessarie per ristabilire l’equità fiscale e iniziare a ricostituire la base imponibile, erosa agli Stati Membri UE ad opera della rapida digitalizzazione della attività. Entrambe le risoluzioni vanno nella direzione auspicata da CRTV e dichiarata in ogni occasione istituzionale, da ultimo in occasione della audizione sul DL Mucchetti. Con queste misure l’UE potrebbe porsi “all’avanguardia mondiale nell’elaborazione di norme fiscali adattate all’economia moderna e all’era digitale” recita il comunicato, facendosi forte di uno dei maggiori mercati del mondo.