L’apertura USA e il destino della tassazione digitale. Lo avevamo annunciato in un precedente articolo dedicato al tema: il nuovo corso attribuito a Biden punta ad una tassa minima globale per tutte le multinazionali, mantenendo di fatto la posizione di chiusura verso una tassa sulle multinazionali digitali. La web tax, Goolge tax, imposta sui servizi digitali come si voglia definirla ha concentrato gli sforzi e il dibattito UE e sovranazionale, in ambito OCSE/G20 degli ultimi anni, che si è incarnata in diverse norme nazionali “ponte” volte a ricostituire almeno temporaneamente l’equità fiscale (e concorrenziale) con le imprese nazionali. Norme sulle quali gli USA hanno aperto delle procedure – indagine, segnalazione, audizioni (siamo in questa fase), predisposizione di sanzioni anche sotto forme di dazi, di cui abbiamo dato conto, perché coinvolta anche l’Italia. È quindi una buona o una cattiva notizia? Che impatto avrà sul nostro settore che da anni subisce l’impatto dalla concorrenza (anche fiscale) delle multinazionali del web? E sul lavoro di approntamento di norme fiscali più adatte alla digitalizzazione dell’economia?
Partiamo dalla notizia degli ultimi giorni: la segretaria al Tesoro degli Stati Uniti, Janet Yellen, in occasione del suo intervento al Consiglio di Chicago per gli affari globali, ha lanciato un appello ai partner internazionali per l’imposizione di una tassa minima globale sulle imprese. All’annuncio la Borsa di New York ha risposto con un rialzo record. Il motivo è semplice, con la creazione di una tassa globale le multinazionali statunitensi saranno meno inclini a delocalizzarsi all’estero per eludere il fisco (anche USA). L’aumento della pressione fiscale societaria, si parla di diversi punto percentuali, 21 al 28%, è una delle misure centrali del Piano americano per la ripresa presentato la scorsa settimana in Pennsylvania dallo stesso Biden, un pacchetto da 1,9mila miliardi di dollari volto a rilanciare l’economia Usa dopo la crisi pandemica. Si ricorda anche che sotto la presidenza Trump la corporate tax statunitense aveva subito quasi un dimezzamento (dal 35% ), che aveva già agito come una sorta di condono fiscale per le grandi multinazionali che avevano nel tempo delocalizzato i profitti.
Di certo la tassa minima globale può evitare la “corsa al ribasso” dei ruling/paradisi fiscali cui diversi Paesi, anche all’interno della UE, fanno ricorso per attrarre imprese straniere. E ha il pregio di attaccare i comportamenti elusivi messi in atto dalle multinazionali di molti settori, come hanno provato diverse indagini internazionali (sulla finanza offshore, per l’Europa ad es. i cosiddetti “Lux Leaks”). In un momento in cui la pandemia richiede urgentemente di finanziare i piani di ripresa nazionali, un accordo globale che contribuisca a far emergere e redistribuire ingenti risorse eluse è da appoggiare. E le negoziazioni in ambito OCSE riguardano circa 140 Paesi.
Resta il fatto che l’economia digitale e la sua smaterializzazione di asset, sedi e transazioni, pone dei problemi che non appaiono più eludibili. La discussione in ambito OCSE avviata nell’ambito del BEPS, e intorno a due “pilastri” (presenza imponibili e diritti di attribuzioni degli utili da un alto e livello di tassazione minima globale dall’altro), che è stata ripresa in ambito UE con due proposte legislative ( 2 direttive, sulla presenza digitale significativa e sulla tassazione dei ricavi derivati da determinate attività digitali, quest’ultima temporanea) bloccatesi di fronte ai veti incrociati di diversi stati membri alla chiusura della scorsa consiliatura rimandando alla negoziazione sovranazionale in ambito OCSE/G20; e la più recente consultazione UE sul prelievo digitale, tassa ulteriore, sembrerebbe, e “integrata” con quelle OCSE per aggiungere risorse per l’indebitamento dell’Unione post pandemia, forse nelle more dell’implementazione OCSE: tutte queste disposizioni difficilmente potranno cancellare il lavoro fatto e dovranno tenere conto di questa “apertura” USA.
Quello che è ineludibile è l’urgenza di introdurre regole che permettano di ricostituire l’erosione delle basi imponibili statali in un’ottica di equità fiscale nazionale e internazionali, tanto più ora che si apre a livello globale il problema di finanziare la ricostruzione post pandemia. Urgenza che traspare da un rapporto, pubblicato da KPMG sulla tassazione digitale nel mondo. Si tratta di un monitoraggio periodico delle forme di tassazione diretta e indiretta adottate nei vari Paesi: secondo l’ultimo monitoraggio (datato gennaio 2021 ) sono 25 le giurisdizioni nazionali che hanno adottato norme sulla tassazione digitale (imposte dirette), ma ben 20 hanno preso posizione al riguardo con annunci pubblici (9) consultazioni e draft (4) e dichiarazioni di auspicare una soluzione globale (7).