Web Tax. Si continua a parlare di web tax o tassazione digitale, comunque si voglia chiamarla, in Italia e in Europa. E’ un tema importante e urgente per ristabilire l’equità fiscale e la concorrenza fra gli operatori nazionali rispetto alle multinazionali. Il Presidente di CRTV Franco Siddi al riguardo ha dichiarato: “è un dovere etico, specie in un momento di crisi come quello attuale, recuperare ai cittadini questo ingente contributo fiscale. “È un dovere di equità nei confronti delle imprese nazionali bilanciare la situazione esistente, che volge il vantaggio fiscale in vantaggio competitivo ingiustificato a favore dei gruppi multinazionali”. E ha aggiunto “Data l’urgenza, che mette a serio rischio lo sviluppo, se non la sopravvivenza delle industrie nazionali, è necessario tuttavia che mentre si negoziano posizioni condivise al livello più ampio, i singoli Paesi individuino, magari coordinandosi al riguardo delle ‘soluzioni ponte’ che nel frattempo diano corpo al principio di equità di trattamento fiscale per tutti gli operatori sul mercato”.
Italia, emendamento in bilancio. In Italia il tema è oggetto di un emendamento nella manovra di bilancio ad opera del Senatore PD Mucchetti (il firmatario di un disegno di legge in materia AS2526 in discussione al Senato), L’emendamento presentato nei giorni scorsi è stato riformulato per inserire un credito di imposta a favore della imprese italiane che eventualmente si trovino a pagare la web tax. La nuova formulazione prevede che “ai soggetti che effettuano le prestazioni di servizi online spetta un credito d’imposta pari all’imposta” utilizzabile in compensazione. La nuova tassa al 6% si applica al valore delle singole transazioni (corrispettivo al netto dell’Iva).
UE, alta la soglia di attenzione in tutte le istituzioni. Anche a livello UE il tema della tassazione dell’economia digitale e dell’urgenza di recuperare una base imponibile erosa è all’ordine del giorno. Il 21 novembre la Commissaria UE per la Concorrenza, Margrethe Vestager, è tornata sull’argomento sottolineando che se la comunità internazionale a livello OCSE non proporrà un nuovo sistema di tassazione entro l’anno prossimo, l’UE prenderà misure adeguate. La Commissione ha lanciato una consultazione pubblica in materia che si chiuderà all’inizio dell’anno prossimo, ma potrebbe – ha detto la Commissaria – prendere in considerazione anche i risultati della consultazione OCSE chiusasi ad ottobre. Si ricorda che il 26 ottobre la Commissione ha avviato un’indagine approfondita sulle esenzioni concesse dal Regno Unito alle multinazionali, l’ultimo degli sforzi di Vestager per frenare le pratiche di elusione fiscale, che sono anche una delle principali priorità della Commissione dal 2014. Si ricorda anche che poche settimane prima, la Commissione a chiusura di una indagine antitrust ha imposto al colosso delle vendite online Amazon di rimborsare imposte per circa € 250 milioni al Lussemburgo, dove aveva goduto di “benefici fiscali illegali”. Come noto la UE ha una competenza “light” sulla fiscalità (coordinamento non armonizzazione, vigilanza sul rispetto delle politiche UE) e richiede in materia votazioni all’unanimità. Tuttavia la UE si è mossa in tema di tassazione – iniziative di revisione normativa, indagini antitrust della Commissione – e i vincoli non impediscono di trovare soluzioni parziali e transitorie qualora ci sia una volontà condivisa: il vertice del Consiglio UE a Tallin nel settembre scorso ha intrapreso al riguardo un cammino su stimolo della commissione e di alcuni Stati Membri, che potrebbe portare all’adozione di norme ponte entro la fine dell’anno. Si ricorda anche che a valle del vertice la Commissione ha approvato una Comunicazione “Un sistema fiscale equo ed efficiente nella UE per il Mercato Unico Digitale” (COM(2017) 547 final) prevedendo azioni di ampio respiro e interventi ponte, immediati.
Sempre negli ultimi giorni a margine del “Social summit” di Goteborg, in Svezia è intervenuto sul tema anche il Presidente del Parlamento UE Antonio Tajani che ha collegato l’importanza di recuperare tale base imponibile erosa anche per sostenere il bilancio UE nel prossimo settennio. La suggestione è interessante. Non si tratta solo di equità fiscale e di ristabilire la concorrenza fra operatori che riescono a generare margini molto alti anche grazie alle pratiche di “ottimizzazione fiscale”: con i soldi recuperabili si potrebbe investire su progetti europei.
Le cifre. Nel dibattito di questi giorni si citano cifre pro e contro l’introduzione di una tassa che alcuni ritengono contro l’innovazione. Da ultimo le news ribattute ieri che indicano un gettito stimato dall’applicazione della web tax italiana proposta in manovra che oscilla “solo” fra i 100 e i 200 milioni di euro nei primi anni di applicazione – ma salirà al miliardo quando si andrà a regime. Un conto è il montante eluso, altro è, ovviamente, quanto recuperabile all’erario nazionale a mezzi attuali. Infatti come esplicitato dagli estensori della proposta italiana si tratta di una norma ponte in attesa di un intervento coordinato a livello sovranazionale (UE) e internazionale (OCSE), l’unico che potrà essere realmente efficace per intervenire su flussi che si muovono a livello globale, ma un intervento che richiede tempi lunghi (si pensi soltanto alla revisione dei trattati bi e multilaterali in materia).
Sulle cifre l’OCSE, che da diversi anni ha intrapreso un progetto di ristabilimento della base imponibile erosa e deviata (BEPS) ad opera della delocalizzazione e la globalizzazione del business, ritiene che i regimi fiscali di favore utilizzati dalle multinazionali (del web, ma non solo) costino ai governi di tutto il mondo fino a 240 miliardi di dollari all’anno in entrate perse, secondo una stima del 2015. Secondo un recente studio di Mediobanca, richiamato da ultimo da Tajani, in cinque anni, tra il 2012 e il 2016 le sole multinazionali del web hanno eluso 46 miliardi di euro, che diventano 69 se si aggiunge Apple. L’ottimizzazione fiscale avviene essenzialmente attraverso l’utilizzo dei paradisi (in Europa soprattutto Irlanda, Olanda e Lussemburgo) con alcuni casi limite: Facebook, per esempio, ha un ‘tax rate’ dell’1% sulle attività nei Paesi al di fuori degli Stati Uniti. Secondo il rapporto, quasi due terzi dell’utile ante imposte dei 21 giganti ‘websoft’ (in ordine di capitalizzazione di Borsa Alphabet, cioè Google, Microsoft, Amazon e Facebook, più Apple e le cinesi) è tassato in questi Paesi dove la pressione fiscale è inferiore. Per le società statunitensi, l’aliquota media fuori dai confini nazionali (e in particolare in Europa) è di circa il 10%.
L’urgenza di ristabilire l’equità fiscale e la concorrenza. Come noto CRTV è intervenuta più volte in tutte le sedi istituzionali, in occasione del dibattito sulla tassazione digitale che ha conosciuto diverse proposte e disegni di legge negli ultimi anni. In occasione dell’audizione sulla proposta di legge del Senatore Mucchetti il Presidente Franco Siddi aveva indicato, supportato dai dati elaborati dall’ ufficio Studi di CRTV come il peso della pubblicità online (“digital”) sia ampiamente sottovalutato in Italia, con grave pregiudizio per l’erario e la concorrenza. Soprattutto appare sottostimata la quota generata dalle multinazionali del web: Nielsen stima in 2.279 milioni di euro gli investimenti in pubblicità “digital” effettuati in Italia nel 2016, FCP Assointernet (pubblicità online generata dai maggiori editori italiani sul web) in 457 milioni: i 1800 milioni di euro di differenza sono sostanzialmente attribuibili alla pubblicità online generata dalle multinazionali del web. Si tratta di 1800 milioni di euro generati in Italia ma sottratti all’erario nazionale.
ALLEGATI