I 25 maggiori Gruppi del settore Internet e Software (da cui l’acronimo) con fatturato globale superiore €8 mld, rappresentano, anche nel mondo delle multinazionali, un’anomalia per concentrazione, utili generati, tasso di crescita, capitalizzazione di borsa. E’ quanto risulta dal rapporto “I giganti del WebSoft. Software e Web Companies (2014-2019), pubblicato ieri dall’area studi di Mediobanca. Le notizie che rimbalzano in questi giorni sottolineano uno degli aspetti salienti di questa crescita smisurata, quello dell’ “ottimizzazione fiscale”: per le attribuzioni delle marginalità infragruppo, la localizzazione delle sedi in paesi a fiscalità agevolata se non paradisi fiscali , la dematerializzazione degli asset, e la possibilità di offrire servizi e generare ricavi da remoto (si pensi ad es. dall’elaborazione e la vendita dei dati, oltre alla pubblicità), tali multinazionali riescono ad eludere una tassazione pensata per un’industria analogica e sostanzialmente su base nazionale. E tuttavia il rapporto di Mediobanca racconta molto altro: anzitutto che accanto alle multinazionali americane stanno crescendo quelle cinesi, che anch’esse sfruttano i meccanismi elusivi; che la riforma fiscale varata da Trump a fine 2017 il “Tax cuts and Jobs Act” ha permesso di far rientrare molti dei capitali elusi al fisco americano anzitutto attraverso un’aliquota di favore una tantum (one time transition tax), e poi attraverso una riduzione permanente dell’aliquota fiscale, quasi un dimezzamento (dal 35 al 21%), quest’ultima volta a recuperare parte della base imponibile erosa all’erario statunitense, e, soprattutto, liquidità. Liquidità, è questo un altro un altro aspetto chiave del mercato delle websoft: i livelli di liquidità, generato da marginalità non tassate e inedite capitalizzazioni di borsa, oltre a costituire delle leve potenti in termini di investimenti sui mercati, costituiscono un’ulteriore ipoteca sul futuro delle industrie meno immateriali e delocalizzabili, che continuano a generare valore (occupati, fiscalità, esternalità positive) sui territori nazionali.
Qualche dato. Sono 25 i gruppi globali con ricavi superiori agli 8 miliardi di euro che generano oltre l’1% del fatturato del settore WebSoft: di questi 14 hanno sede negli USA, 7 in Cina, 2 in Giappone e 2 in Europa (Germania). Ma tutte le multinazionali cinesi hanno la sede legale nelle Isole Cayman, tutte le statunitensi (ad eccezione di Microsoft) nello stato del Delaware (anch’esso a fiscalità agevolata). Settori di attività: 13 gruppi operano principalmente nell’e-commerce, 7 nella produzione di software, 5 nell’internet services (social, search engine, web portal, payment system).
Ricavi. Nel 2018 l’aggregato dei 25 gruppi WebSoft ha totalizzato vendite per €850 mld, utili per €110 mld, occupando quasi 2 milioni di persone nel mondo. Nel 2014-2018: mediamente i ricavi sono cresciuti a ritmi del 20,3% l’anno rispetto al 3,1% delle multinazionali manifatturiere. Nella top3 growth 2014-2018: le cinesi NetEase (+54,8%) e Alibaba (+49,1%), seguite da Facebook (+45,5%). La redditività industriale è viceversa dominata dalle statunitensi: Facebook guida la classifica per ebit margin 2018 (44,6%), seguita da Booking (36,8%) e Oracle (35,3%)
Concentrazione. Nel quinquennio 2014-2018 considerato da Mediobanca tale aggregato Websoft mercato è diventato sempre più concentrato: nel 2018 le prime 3 aziende, Amazon, Alphabet (Google) e Microsoft rappresentano circa la metà dei ricavi aggregati WebSoft; Amazon è in prima posizione dal 2014 dopo anni di dominio Microsoft, e da sola rappresenta quasi un quarto dei ricavi totali. Nel 2014-2018 è aumentato il gap tra i primi cinque e gli ultimi: nel 2014 la differenza di fatturato era poco superiore ai €240 mld, nel 2018 è più che raddoppiata a oltre €480 mld
Multinazionali reali e irreali. Nel 2018 la quota delle WebSoft sul totale delle multinazionali mondiali è pari al 6,4% del giro d’affari e al 6% della forza lavoro, ma pesa per l’11,7% degli utili e addirittura per il 21,6% del valore di Borsa: rispetto al 2014 tutte le quote sono aumentate e la variazione più incisiva ha riguardato proprio il valore di Borsa: +8,7 p.p. dal 2014
Occupazione. Nel quinquennio 2014_2018 si riscontra un quasi raddoppio dell’occupazione nelle websoft a livello globale, +91,6% pari a +902mila unità, rispetto al 2014 (+1% l’aumento dell’occupazione delle multinazionali manifatturiere). Amazon, regina indiscussa dei ricavi, è anche il primo «datore di lavoro» (647mila occupati), seguita a distanza da JD e Oracle. Per ogni 10 milioni di euro di fatturato Amazon impiega 32 persone, contro le 52 delle multinazionali della grande distribuzione
Profitti. Rispetto ai profitti netti: +20,3% la crescita media annua delle Wesoft rispetto al +4,3% delle multinazionali manifatturiere; nel 2018 ogni gigante WebSoft ha mediamente prodotto circa €15 milioni di utili netti al giorno, contro i 7 della grande manifattura, per un totale di €413 mld di profitti generati nel 2014-2018.
Borsa. Per quanto riguarda la creazione di valore in Borsa: è del +19,8% l’incremento medio annuo rispetto al +3,3% delle multinazionali della manifattura; a fine 2018 i giganti del WebSoft valevano oltre otto volte l’intera Borsa italiana e oltre il doppio di quella tedesca. Il podio della capitalizzazione borsistica va a Microsoft-Amazon-Alphabet, ognuna delle quali vale più dell’intera Borsa italiana; a metà novembre 2019: Microsoft-Alphabet- Amazon.
Patrimonializzazione. Facebook e Nintendo sono le più solide patrimonialmente ADP, Paypal, Nintendo e NetEase sono le più liquide, con livelli di liquidità superiori al 60% del totale attivo
Websoft è liquido. Ambiguo l’aspetto dell’estrema liquidità per il rapporto Mediobanca: a fine 2018 i top 25 del WebSoft detenevano oltre €507 mld di liquidità, pari a oltre un terzo del totale attivo (tre volte di più della media di una multinazionale). Parte di queste risorse (€305 mld), pari al 22% del totale attivo, è investita in titoli a breve termine (circa la metà sono titoli di stato U.S.A.): percentuale addirittura superiore a quella mediamente registrata dalle maggiori banche europee e americane (21%) e di gran lunga eccedente la media di una multinazionale (3%). Dal 2014 al 2018 la liquidità dei giganti del WebSoft è aumentata, in media di circa €49 mld ogni anno, ed è stata utilizzata prevalentemente per acquistare società minori e azioni proprie: nel 2018 l’acquisto di azioni proprie (€78 mld) è stato di circa quattro volte superiore a quello del 2014 (€20 mld).
Ottimizzazione fiscale: circa la metà dell’utile ante imposte dei giganti del WebSoft è tassato in Paesi a fiscalità agevolata, con conseguente risparmio fiscale cumulato nel 2014-2018 di oltre €49 mld; si distinguono Microsoft, Alphabet e Facebook per aver risparmiato rispettivamente €16,5 mld, €11,6 mld e €6,3 mld nel 2014-2018 La tassazione in Paesi a fiscalità agevolata combinata alla riforma fiscale statunitense, pienamente recepita dagli annual report 2018, e ai crediti d’imposta sulle spese in ricerca ha fatto sì che nel 2018 il tax rate effettivo delle multinazionali WebSoft risultasse pari al 14,1%, ben al di sotto di quello ufficiale del 22,5%. Dati che devono far riflettere il legislatore italiano ed europeo sulla sperequazione e il vantaggio competitivo che essa genera.
Websoft in Italia. La presenza in Italia avviene tramite controllate la cui sede è collocata per la quasi totalità nelle province di Milano e Monza-Brianza. L’aggregato 2018 delle filiali italiane ha un fatturato di oltre €2,4 mld (ampiamente ridotto, grazie ai transfer pricing infragruppo) e occupa più di 9.800 persone. E comunque nel 2018 le filiali italiane dei giganti del WebSoft hanno versato al fisco italiano solo €64 mln (€59mln nel 2017) e hanno pagato sanzioni per complessivi €39 mln (€73 mln nel 2017.
Way out: web tax, ma non solo. Come noto CRTV da tempo ha sostenuto in tutte le sedi la necessità di predisporre al più presto un quadro adeguato di tassazione dell’economia digitale, nel contesto più ampio possibile (OCSE / G20); ma al tempo stesso, nelle more delle complesse negoziazioni internazionali, l’urgenza di procedere con norme ponte nazionali, il più possibile armonizzate a livello UE. Il percorso dell’imposta sui servizi digitali in manovra di bilancio 2020 nella sua versione direttamente applicabile va proprio in questo senso, purché ci si assicuri che la disposizione non vada a incidere con una doppia imposizione sulle aziende nazionali.
Per quanto riguarda la disruption operata nel settore radiotelevisivo dalle multinazionali del web, i dati son noti: l’Osservatorio dell’Audiovisivo Europeo del Consiglio d’Europa da anni fornisce elaborazioni sui 50 maggiori gruppi globali per fatturato audiovisivo: fra questi figurano tutte le multinazionali del web o grandi multinazionali esterne all’audiovisivo (es. Sony): i campioni europei del settore si contano sulle dita di una mano e figurano in posizioni arretrate. Ma l’impatto nel settore radiotelevisivo si calcola anche in termini di concorrenza sulle risorse (pubblicitarie, in Italia il digital advertising è il secondo mezzo per raccolta con oltre il 33%); risorse da abbonamento (si pensi a Netflix e in maniera diversa all’impatto di Spotify sule settore radiofonico); tempo e attenzione degli utenti; concorrenza sui contenuti, spesso distribuiti in violazione di copyright (inteso come equa remunerazione e controllo degli aventi diritto), sempre senza alcun obbligo (responsabilità o almeno accountability sui contributi distribuiti), spesso facilitando la pirateria digitale (es. l’accessibiiltà di url di siti pirati sui motori di ricerca o di device per la decrittazione di contenuti protetti, il nuovo fenomeno della IPTV pirata, sui siti di e-commerce) per citare solo alcuni. Sottesa a tutto, l’estrazione del petrolio che guida i tutti i nuovi mercati e quelli in maggire sviluppo (es. intelligenza artificiale, machine learning per citarne alcuni), i big data, immagazzinati, elaborati e ceduti oggi solo dalle grandi multinazionali del web. E’ tempo che la politica, e i regolatori, prendano atto che la disruption sta sottraendo valore e competitività alle imprese nazionali, che soffrono di una anacronistica sovrapposizione di oneri e regole. I meccanismi del mercato sono globali, le norme, inadeguate, nazionali. E’ tempo di allargare i principi di diritto alle multinazionali globali ed è tempo di semplificare le regole per stimolare la competitività dei campioni nazionali ed europei.
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ALLEGATI
“I giganti del WebSoft. Software e Web Companies (2014-2019)”