Anche quest’anno Auditel ha presentato la propria Relazione Annuale in Parlamento e anche quest’anno il Presidente Andrea Imperiali ha inquadrato il percorso evolutivo della società di monitoraggio delle audience televisive nel contesto del mercato globalizzato della pubblicità dove, in questa fase storica, rischiano di accentuarsi le esistenti posizioni oligopolistiche. Il Presidente ha quindi individuato nella struttura della Joint Industry Committee (JIC) il modello di governance vincente per gestirele nuove complessità reclamando una “veste normativa” per lo stesso a livello europeo. Tale modello attira le attenzioni di molti operatori online, come testimonia il recente convegno Polimi sull’internet advertising e le nuove metriche, di cui abbiamo dato conto. Di seguito riportiamo dalla relazione alcuni aspetti di contesto a nostro parere di particolare interesse.
Streaming alla ricerca di nuovi modelli di monetizzazione. Dopo il boom dello streaming, facilitato dall’isolamento da Covid, il “mercato dell’attenzione verso i contenuti video”(virgolettato nostro) – settore TV (news, broadcast e sport); streaming (SVOD – Subscription Video On Demand – AVOD -Advertising Video On Demand – e FAST – Free Ad-Supported Television); digital (social media e advertising); videogames; hardware (CTV e Smart TV); cinema (studios), sono i 6 settori individuati nella Relazione – sperimenta oggi nuove dinamiche indotte da un lato dalla regolamentazione, soprattutto della privacy; dall’altro, dai contraccolpi della crisi economica e finanziaria – innalzamento dei tassi di interesse, ritorno dell’inflazione, crisi dei consumi, maggiore concorrenza e cut-price delle quotazioni stellari degli OTT – crisi che per la prima volta mette in dubbio la crescita inarrestabile delle big tech. Queste dinamiche, indica Imperiali nella relazione, per l’aspetto regolatorio non stanno consegnando, non ancora, i risultati attesi e rischiano, anzi, di accentuare le disparità fra gli operatori del mercato. Le gloriose sorti dello streaming dei contenuti video, in particolare, si confronta con uno scenario competitivo più complicato e, se possibile, più agguerrito, a seguito di una generalizzata battuta d’arresto nella corsa agli abbonamenti, che ha portato a cercare strategie per abbassare il churn-rate e mantenere invariati i ricavi. Le quattro conseguenze, già evidenti, indicate nella relazione sono: drastico taglio alla produzione di contenuti originali (-40% nel 2022 rispetto al 2019) seguito da inevitabili contraccolpi sul piano occupazionale e sull’offerta di titoli; stretta sulla condivisione delle credenziali di accesso degli utenti (“concurrency”), nella speranza di trasformare gli spettatori non paganti in abbonati (la sola Netflix ne stima circa 100 milioni); apertura delle piattaforme agli investimenti pubblicitari e offerta di un abbonamento base discount, dove il consumatore accetta una impaginazione pubblicitaria “non invasiva”; avanzata di un nuovo ulteriore modello di business, il Multichannel Video Programming Distributor (MVDP), e la sua variante “virtual”: una sorta di bundle “all you can eat” per i consumatori di contenuti OTT.
Competizione allargata per la pubblicità nel mercato cookieless. Alla sfida fra i giganti statunitensi, alla conquista dell’Europa (e dell’Asia) con politiche di prezzo (e modelli di business) sempre più convergenti e competitive, si affianca la concorrenza per la pubblicità da parte di piattaforme di condivisione video, ma non solo. La competizione si gioca sulle risorse e sulla profilazione dei dati degli utenti: quest’ultimo è un tema particolarmente critico se si considera che si compete con piattaforme sempre più integrate – ad es. browser, server pubblicitari e sistemi operativi – che possono di fatto alterare le regole del mercato. Fra gli esempi citati, TikTok, che nel 2022 ha raddoppiato i ricavi pubblicitari negli Stati Uniti grazie ai suoi 100 milioni di utenti attivi mensili, alla viralità dei contenuti e, soprattutto, alla polarizzazione sulle giovani generazioni; viceversa, Google e Meta, sempre nel 2022, per la prima volta hanno raccolto meno della metà di tutta la pubblicità digitale USA a beneficio di Amazon, in forte crescita. Ma anche per es. Uber, che intende competere sul fronte dell’advertising tramite le app Uber e Uber Eats con l’obiettivo di arrivare a un miliardo di dollari entro l’anno. Nel frattempo, le nuove impostazioni decise da Apple (che ora chiede ai possessori di smartphone e tablet un consenso granulare prima di permettere alle app di monitorarne i comportamenti e condividere con terze parti i dati personali) hanno significato per Meta, ossia l‘aggregato Facebook-Instagram-WhatsApp, una decisa contrazione dei ricavi, stimata, solo lo scorso anno, in circa 10 miliardi di dollari. Anche Google, inoltre si appresta a bloccare i cookies di terze parti, formalmente per motivi regolamentari (privacy e antitrust): l’eliminazione dell’opzione dei cookie di terze parti da parte del primo motore di ricerca mondiale avrà un impatto forte, almeno nella prima fase, sul mercato della pubblicità, rafforzandone verosimilmente la leadership.
Qualcosa si sta muovendo, nella relazione si fa riferimento all’indagine antitrust statunitense – Department of Justice degli Stati Uniti e otto Stati federali – su Google con l’accusa di monopolizzare illegalmente il mercato della pubblicità digitale, che vale 278,6 miliardi di dollari: secondo il Department of Justice, con mezzi anticoncorrenziali sistematici Google riuscirebbe a incassare “un pedaggio” di almeno 30 centesimi per ogni singolo dollaro speso dagli inserzionisti pubblicitari. E all’analoga indagine portata avanti dall’Unione europea (Commissariato alla Concorrenza) e Regno Unito (Competition and Markets Authority) sul cosiddetto “Jedi Blue“, presunto patto tra giganti tecnologici, nella raccolta globale online, dove i due principali operatori (Google possono già contare su una market share pari a oltre il 70%.
“Il timore, in altre parole, è che il mercato, già saldamente presidiato da veri e propri oligopolisti digitali globali, possa registrare un ulteriore e preoccupante consolidamento delle posizioni dominanti. Prospettiva allarmante. Non solo ai fini dell’equa e corretta competizione tra soggetti globali e operatori europei, ma anche sotto il profilo della cosiddetta democrazia digitale” indica la Relazione.
Il ruolo delle JIC nella competizione globale. Auditel rivendica il ruolo che i sistemi di misurazione possono giocare per il corretto funzionamento del mercato dei media e dell’economia digitale in generale, orientando l’allocazione delle risorse economiche, contribuendo a definire le politiche di finanziamento pubblico, ed equilibrando le distorsioni del mercato.
La JIC, modello di governance indipendente ed evoluto a partecipazione diffusa e controllo incrociato concepito in ambito comunitario e già largamente diffuso tra i Paesi dell’Unione, sta diventando il perno della convergenza mondiale delle metriche, confermandosi come best practice in termini di trasparenza, indipendenza e inclusività di tutti i soggetti. I segnali: in Italia, AgCom ha disposto l’adesione di DAZN ad un JIC (Joint Industry Commettee), nella fattispecie ad Auditel. Nel Regno Unito, Netflix ha deciso per la prima volta di farsi rilevare da un JIC, BARB. Negli Stati Uniti le Big 5 – Fox, NbcUniversal, Paramount, TelevisaUnivision e Warner Bros. Discovery – hanno concordato di affidare a un JIC raccolta e la misurazione dei dati d’ascolto in modalità crossmediale, il progetto coinvolgerà Ana (Association of National Advertisers, l’equivalente di Upa) e Nab (National Association of Broadcasters, l’associazione degli editori TV).
Grazie alla diretta vigilanza delle autorità di regolazione, il JIC è il modello più adeguato a garantire la necessaria autonomia e imparzialità agli organismi deputati alla rilevazione, combinando allo stesso tempo l’esigenza di costante innovazione con il principio della massima rappresentatività. Questo modello, tuttavia, necessita oggi di una veste giuridica che solo il decisore politico, a livello nazionale e continentale, può attribuirgli. Veste giuridica che andrebbe riconosciuta soltanto a fronte di requisiti stringenti, oggettivi e misurabili, sia sotto il profilo della governance che delle modalità di rilevazione.
Cooperazione di mercato, vigilanza del regolatore e veste giuridica metterebbero, secondo Imperiali, il JIC “nella condizione di svolgere compiutamente, e in maniera ancora più indipendente ed efficace, alcune attività essenziali, come, per esempio, il legittimo interesse nella qualificazione giuridica in termini di data protection. A fronte del conferimento di una tale veste giuridica, poi, si potrebbe realizzare l’armonizzazione di tutti i sistemi di misurazione dell’Unione, uniformando, gli approcci in termini di trasparenza, imparzialità, inclusività, non discriminazione e verificabilità delle informazioni prodotte” e, non ultimo, “a traguardare la misurazione oggettiva e accurata di tutti i soggetti operanti sul mercato dei media, con particolare riferimento ai nuovi attori digitali globali, che, a parte poche eccezioni, tuttora sfuggono a qualunque organismo indipendente per il tracciamento dei propri ascolti su basi confrontabili e omogenee”.
Il Presidente ha concluso riferendosi al nuovo ERGA, e allo strumento del Media Freedom Act, a tale riguardo.