Sblocco dello scacchiere internazionale delle proposte sulla tassazione digitale? “Abbiamo ancora bisogno di un accordo globale sulla riforma del sistema istituzionale della tassazione digitale a livello di OCSE e G20. Accogliamo pertanto con favore il cambio di posizione da parte della nuova amministrazione statunitense e siamo fiduciosi di raggiungere un accordo entro la metà del 2021. Parallelamente, come richiesto dal Consiglio europeo, stiamo proseguendo i preparativi per proporre un prelievo digitale (digital levy) dell’UE, che fungerà da risorsa propria dell’Unione entro il 2023. Faremo in modo che essa integri il processo OCSE (OECD) e sia compatibile con l’OMC (WTO). La crisi rende ancora più importante concordare sulla tassazione delle imprese digitali e su altre questioni importanti quali un’aliquota fiscale minima, per garantire le entrate fiscali necessarie e che tutti paghino la loro giusta quota di tasse”. Sono queste le osservazioni del vicepresidente esecutivo Dombrovskis alla conferenza stampa informale a margine dell’ECOFIN che conferma alcuni sviluppi recenti. Anzitutto, il cambiamento di approccio statunitense, figlio della nuova Presidenza Biden, non più aggressiva (le indagini dello US Trade Department) o ritorsiva (dazi sulle importazioni dai Paesi che hanno introdotto la web tax fra cui, tra gli altri, Francia, Italia, Spagna) e l’abbandono della clausola del “safe harbor”: il punto di caduta è sulla tassazione di tutte le multinazionali, non solo quelle digitali. E poi la consapevolezza di dover garantire nuove risorse e equità di tassazione all’Europa post Covid, e convogliare gli Stati Membri UE su un sistema di tassazione unico aggiuntivo ai meccanismi precedentemente proposti, su questo è in corso una consultazione in scadenza ad aprile. I meccanismi precedentemente proposti sono basati sui due pilastri della stabile organizzazione digitale e della tassabilità di determinati servizi, ricalcati sulle discussioni BEPS (Base Erosion Profit Shift) in ambito OCSE e bloccati a livello UE (e di fatto anche nazionale) dalla “sunset clause”, clausola di disapplicazione automatica per il raggiungimento di un accordo multinazionale, preferibile.
Restano le divisioni fra gli Stati membri UE, lungo linee tracciate dai “paradisi fiscali interni” (ruling) e i timori di ritorsioni commerciali/iniquità della tassa. Non a caso Francia, Italia e Spagna sono favorevoli all’idea che l’UE faccia da apripista a livello internazionale, mentre, mentre Irlanda, Lussemburgo e Malta, Svezia, Finlandia, Lettonia, Germania, Paesi Bassi e Romania propendono per una soluzione concordata in sede OCSE.
Al Consiglio europeo di fine marzo, i 27 Capi di Stato e di Governo, pur evidenziando la preferenza per una tassazione digitale internazionale, dovrebbero confermare la disponibilità ad andare avanti a livello europeo per una tassazione delle Big Tech. In ogni caso, la Commissione dovrà presentare una proposta sul tema in vista della sua introduzione come nuova risorsa propria per il Quadro Finanziario Pluriennale 2021-2027.