Prosegue il dibattito a livello internazionale. È a livello internazionale, e in particolare in ambito OCSE dove, dopo l’UE, si è spostato il fronte di quella che a tutti gli effetti appare una guerra, fatta di battaglie, strategie, mosse e contromosse. Nello scenario del risiko globale, si deve tener conto oggi anche degli impatti economici della pandemia e delle elezioni presidenziali USA. Ma anche del ruolo che l’Europa può e deve giocare in questo ambito, forte del peso del mercato dell’Unione e delle maggiori economie che al suo interno hanno già adottato misure di tassazione dei servizi digitali.
Il fronte sembra muoversi anche lungo la direttrice lessicale: digital (services) tax si riferisce alla creazione di un sistema e delle regole fiscali aggiornati all’economia digitalizzata, sistema e regole che devono trovare modalità tali da non ostacolare la crescita di una economia digitalizzata anche a livello nazionale; web tax allude alla tassazione delle multinazionali del web, queste soprattutto statunitensi, con una ulteriore connotazione settoriale e competitiva, anche a livello di blocchi commerciali. Una sfida che infine si gioca sui tempi: la fine dell’anno è la data fissata per la chiusura delle trattative in ambito OCSE cui è legata la sospensoria “sunset clause”, per l’operatività delle legislazioni nazionali.
Per il settore radiotelevisivo, come CRTV ha ribadito in tutte le sedi istituzionali e pubbliche, il tema è di estrema rilevanza ed urgenza per gli impatti competitivi: le grandi multinazionali del web hanno assunto sul mercato delle risorse (pubblicitarie e a pagamento) posizioni dominanti a livello nazionale e globale beneficiando, tra l’altro, dell’elusione fiscale. Una sottrazione di risorse dai mercati nazionali a danno dei cittadini e delle imprese domestiche che deve essere arginata.
Fra sospensioni e proposte, il peso dell’Europa. L’imposta sui servizi digitali è rientrata nel dibattito politico a livello internazionale e nazionale. Alla base di questo rinnovato interesse, l’apertura di indagini da parte del dipartimento del commercio USA sulle imposte sui servizi digitali adottate o anche solo prese in considerazione dai partner commerciali; il successivo abbandono da parte del rappresentante USA del tavolo OCSE che sta decidendo sul tema della tassazione digitale; le conseguenti dichiarazioni politiche in ambito UE, ma anche da parte di ministri nazionali di procedere in ambito OCSE o, se necessario, a fine anno, come Unione; la recente proposta “tecnica” di Maurizio Decina, di finanziare gli interventi strutturali per lo sviluppo della banda larga con i proventi della tassazione digitale. L’approccio graduale, cui accenneremo in seguito. Nel frattempo il Regno Unito è entrato fra i Paesi che hanno adottato norme al riguardo, con l’annunciata digital services tax operativa dall’inizio dell’anno fiscale 2020 (britannico, 1 aprile). I Paesi che nel mondo hanno adottato forme di imposizione diretta della fiscalità digitale sono 22, come testimonia l’ultimo aggiornamento periodico sul tema della KPMG: l’Unione, e all’interno di essa diversi grandi mercati nazionali, su questo tema possono costituire una massa critica decisiva nel contesto globale.
USA, minaccia di dazi a difesa dei campioni nazionali. È dei primi di giugno l’annuncio dell’avvio delle indagini sulle imposte sui servizi digitali ai sensi della sezione 301 della legge commerciale del 1974. La norma conferisce all’Ustr (US Trade Representative) ampi poteri di indagine sulle decisioni di un Paese straniero ritenute ingiuste o discriminatoria con influenze negative sul commercio degli Stati Uniti. Sottoposti ad indagine sono Austria, Brasile, Repubblica Ceca, Unione Europea, India, Indonesia, Italia, Spagna, Turchia, Regno Unito. Commenti pubblici sui risultati di tale indagine sono previsti per il prossimo 15 luglio. Come noto nei mesi precedenti il presidente Trump era arrivato a minacciare dazi nei confronti dei Paesi che hanno adottato web tax o misure simili, minacce elevate a Francia e Italia, che tali norme hanno già approvato (saranno operative dal prossimo anno) e ventilate ad una Germania titubante. Sempre nel mese di giugno una lettera del Segretario di Stato USA ai ministri dell’Economia di Italia, Francia, Spagna e Regno Unito annunciava lo stop alle trattative in ambito OCSE. Formalmente si tratta di sospensione, attribuita all’emergenza economica da Covid-19.
UE, le reazioni. Tale lettera è stata recepita come una provocazione, dal ministro delle finanze francese e il governo spagnolo ha fatto sapere di non aver alcuna intenzione di modificare o sospendere l’iter del disegno di legge in discussione in Parlamento. Più cauta la reazione del nostro ministro delle finanze Gualtieri e di Paolo Gentiloni, commissario Ue all’Economia, che hanno espresso rammarico e l’auspicio che la sospensione sia temporanea. Gentiloni ha confermato che la UE procederà con i negoziati OCSE, come peraltro previsto anche dal G20, per un risultato entro la fine dell’anno, oppure da sola come Unione o al fianco dei Paesi che già hanno preso posizione. Il nodo europeo rimane infatti quello della mancanza di unanimità richiesta per temi fiscali e quello delle eventuali scappatoie (es. clausola passerella), già suggerite in passato. Di certo rimane la scadenza di fine anno e, soprattutto la sunset clause, sospensiva in caso di accordi in sede OCSE, inclusa in tutte le norme nazionali approvate o proposte.
OCSE, si procede come da programma. “La risposta alle sfide fiscali derivanti dalla digitalizzazione dell’economia è attesa da molto tempo”, ha affermato il segretario generale dell’OCSE Angel Gurría in una nota del 18 giugno scorso. “Tutti i membri dell’Inclusive Framework (137 Paesi) rimangono impegnati nella negoziazione per raggiungere l’obiettivo di una soluzione globale entro la fine dell’anno, attingendo a tutto il lavoro tecnico che è stato svolto negli ultimi tre anni, anche durante la crisi COVID-19” . Si ricorda che in seno all’Ocse è operativa la “task force sull’economia digitale” che analizza regole concernenti la distribuzione dei profitti delle imprese digitali per giurisdizione (dove e quanto, pilastro 1) e cerca inoltre di assicurare che le multinazionali del digitale paghino una quota minima di imposte al fine di arginare l’erosione della base imponibile (BEPS) attraverso l’elusione (pilastro 2). Obiettivo dell’Inclusive Framework è chiudere i negoziati al riguardo nell’ottobre 2020, a ridosso delle presidenziali USA previste per il 3 novembre, per avviare la tassazione nell’anno solare successivo.
Una tassa per sovvenzionare lo sviluppo digitale. L’OCSE in uno dei suoi ultimi report ha sottolineato come in periodo Covid la tassazione digitale sia diventato tema importante per il rilancio delle economie nazionali, tanto più alla luce dell’impatto espansivo che la pandemia ha avuto sull’adozione dei servizi digitali da parte di utenti, imprese, pubblica amministrazione. È di questi giorni poi la proposta dell’economista esperto di Tlc Maurizio Matteo Dècina di utilizzare la tassazione degli OTT per finanziare lo sviluppo della banda ultralarga fissa e mobile in italia. Secondo lo studio “Evitare una débâcle dell’Ict italiano tornando a crescere” a fronte di entrate fiscali stimate in 50 miliardi di euro in 10 anni (stima basata su una tassazione comparabile a quella delle aziende italiane), una parte di tali introiti, 10-15 miliardi, potrebbero essere destinate a svilluppare le infrastrutture Fibert To The Home e 5G. Torneremo su tale studio, basti in questa sede anticipare l’analisi relativa agli OTT riportata nella figura che segue.
Tassazione dei servizi digitali, non solo UE. Dal 1 aprile è entrata in vigore nel Regno Unito la digital services tax, che prevede un prelievo del 2% sui ricavi generati nel Regno Unito da multinazionali del web (social, search, online marketplace) i cui ricavi globali sono superiori a 500 milioni di sterline, 25 milioni in UK. Sotto tale soglia le attività digitali non sono tassate. Si stima che la tassa genererà importi che partiranno da 70 milioni di sterline (anno solare 2019-2020) e supereranno i 500 milioni di sterline già primi 5 anni. Europa ma non solo, secondo l’ultimo aggiornamento del monitoraggio periodico effettuato da KPMG (Taxation of the Digitalized Economy) su 46 Paesi, 22 hanno già adottato forme di tassazione diretta, 6 hanno una normativa in discussione / implementazione, 10 hanno fatto annunci pubblici al riguardo (gli USA sono fra questi); 5 attendono una soluzione globale, 3 (Australia ì, Cile e Germania per ora hanno rigettato una iniziativa al riguardo.
L’approccio graduale. È di questi giorni la notizia (Reuters) di una lettera congiunta inviata dai ministri dell’economia di Regno Unito, Francia, Italia e Spagna al segretario del Dipartimento del tesoro statunitense. Nella lettera si suggerisce un “approccio graduale” nelle trattative su una digital tax a livello globale, limitando inizialmente la tassazione solo ai “servizi digitali automatizzati”, ossia, sembrerebbe di capire, motori di ricerca e social, escludendo al momento e-commerce e altre forniture di beni e servizi online. L’obiettivo sarebbe preparare il terreno per l’accordo globale entro la fine dell’anno in ambito OCSE. Tale proposta appare congruente con quanto si sta delineando in quest’ambito. I due pilastri su cui si basa la trattativa internazionale riguardano infatti: tassazione dell’ economia digitale e tassazione minima a livello globale delle maggiori aziende digitali. Il primo pilastro si divide a sua volta in due sottogruppi di attività: (1) servizi digitali automatizzati – come i motori di ricerca (Google, Yahoo ecc.) e le piattaforme di social media (Facebook, Twitter ecc.) – e (2) attività rivolte ai consumatori, che vendono beni e servizi (Amazon, Apple, etc.). L’approccio graduale sembra pertanto indirizzarsi verso modelli di business “tradizionali”, legati al concetto di utente e non di consumatore, con lo scopo di facilitare una posizione favorevole degli Stati Uniti sull’aliquota mondiale subito. DI questa tassa potrebbero beneficiare anche gli USA incassando la base imponibile erosa dalle multinazionali anche a loro danno.